Zingaretti: «Renzi punta a rompere. Noi stabilizziamo»

Nicola Zingaretti
di Simone Canettieri
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Mercoledì 15 Gennaio 2020, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 12:01
Prendo giusto un po’ di maiale e qualche verdura». Il piatto piange. Sarà perché si trova in un convento o forse perché non vuole sgarrare la dieta, alla fine Nicola Zingaretti lunedì sera, al termine della prima giornata di ritiro, si concede un pasto frugale. A tavola lo aspettano gli altri big della confraternita Pd: gli affiatatissimi ministri Giuseppe Provenzano ed Enzo Amendola, il serioso vice Andrea Orlando e poi Beatrice Lorenzin e Roberta Pinotti, c’è anche l’ex Sel Marco Furfaro. Insomma, volti e storie di centro, sinistra e destra. Tutti adesso nel correntone della maggioranza zingarettiana.

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Il leader del Nazareno si lascia a qualche riflessione guardando i commensali che lo attendono per il brindisi a base di rosso locale: «Siamo un partito unito e plurale – dice lasciando trasparire un bel po’ di soddisfazione - e questo non è un fatto scontato. Veniamo d’altronde da stagioni di guerre interne, di veleni, di franchi tiratori e accoltellamenti vari. Invece, eccoci: il tasso di litigiosità che storicamente contraddistingue il Pd non c’è più. E abbiamo subito una scissione…».
 


Ecco, il nome di Matteo Renzi in questa due giorni sospesa tra la voglia di incidere sul governo («incalzeremo il primier per una fase due») e disegnare il partito che verrà non viene mai pronunciato dal palco. Lo fa Zingaretti, ora: «Come Pd stiamo dimostrando di essere una forza responsabile che stabilizza l’esecutivo, senza protagonismi. Matteo? No, credo che lui invece punti a rompere, che prima o poi proverà ad andare a elezioni anticipate per tentare di riprendersi la scena».

Viene però spontaneo pensare che una manovra tale potrebbe essere esiziale per il segretario di Italia Viva e la sua creatura: i sondaggi non sono proprio esaltanti e la soglia del 5% rischia di essere un muro. Insomma, segretario non sarebbe azzardo? «Attento – si ferma Zingaretti – Renzi punta a essere il capo di tutti i partiti nani, il federatore di una serie di piccole formazioni che si stanno formando e che tutti insieme possono superare la soglia di sbarramento».

Questa è troppo facile: Conte stai sereno? «Con il premier abbiamo, e parlo del Pd in generale, un rapporto sano, volto a perseguire obiettivi chiari per il Paese, guardando alla fine della legislatura. Intanto stiamo qui per porre fine a chi dice che siamo subalterni e così annunceremo le nostre proposte da portare sul tavolo dell’esecutivo».

LE 5 PROPROSTE
Zingaretti spiega che bisogna puntare su cinque pilastri: una rivoluzione verde per tornare a crescere (politicamente un modo per togliere un tema ai grillini), un processo di sburocratizzazione del Paese, un Equity Act per ridurre le distanze sociali e territoriali, poi portare in 5 anni la spesa per la conoscenza ai livelli Ocse con un investimento complessivo di 20 miliardi e infine un piano per la sanità, la cura e l’assistenza per non lasciare soli i più deboli. Titoli forti da libro dei sogni, ma snocciolati nel merito con coperture e proposte: «Siamo concreti».

Peccato per Zingaretti che questo non è un governo monocolore dem. Anzi, come sa benissimo la maggioranza in Parlamento continua a essere (pesantemente) nelle mani del M5S, un partito in piena crisi esistenziale. Il pensiero di un’implosione grillina non le rovina la cena? «Sono consapevole del dibattito interno e non è corretto mettere il naso nella vita degli altri partiti, seppur alleati. Sono però consapevole che un’eventuale tensione M5S potrebbe riverberarsi sul governo. E se dovesse servire, con il premier Conte che rimane centrale, saremo pronti come Pd a farci carico anche di questo problema». Ah, sì e come? «Forza tranquilla. Lo ripeto: cerchiamo di stabilizzare. Insomma, potremmo essere chiamati agli straordinari», ride ancora Zingaretti, strizzando gli occhi fino a farli diventare una fessura.

Un passaggio non semplice e di sicuro graduale. Come poi ha ripetuto e fatto capire ieri dal palco. Anche perché prima vuole scrollarsi di dosso le accuse di subalternità che gli piovono addosso da un pezzo minoritario di partito (la partita sui decreti sicurezza, rinviata a dopo l’Emilia Romagna e al Parlamento sarà fondamentale). Intanto lo sguardo sembra puntato a quel mondo che votava M5S, pecorelle smarrite da riportare a casa: l’opa.
Si spiegano così i plausi al reddito di cittadinanza («Ma creare lavoro è un’altra cosa e noi lì dobbiamo battere») la possibile apertura di una revoca alla concessione di Autostrade e la forza con cui spinge sul un nuovo corso verde, su Greta e gretismo. Per non parlare poi delle sardine, pronte a essere abbracciate se il 27 mattina Stefano Bonaccini non sarà sbolognato. 
Così tanta carne al fuoco che questa sera, forse, è meglio rimanere leggeri. Anche per non fare incubi nella notte.
 
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