L'oncologa Marta Schirripa: «Microscopio, provette e Kiss: la mia guerra contro il cancro»

la dottoressa Marta Schirripa
di Luca Telli
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Lunedì 13 Gennaio 2020, 20:10 - Ultimo aggiornamento: 1 Marzo, 23:54
Il cancro non è solo diagnosi e cura. Il cancro è sequenza di storie e destini che si intrecciano. Di strade che improvvisamente cambiano direzione e sulle quali non esistono indicazioni. È un vortice dove la famiglia di chi entra esce trasformata, sia che la fiaccola resti accesa, sia che si spenga».
Della battaglia alla malattia Marta Schirripa, 33 anni, ne ha fatto una missione. Le sue armi, microscopio e provette. La sua carezza, quella di una mamma (ha una piccola di 16 mesi Irene Blue, un altro in arrivo) per chi comincia un calvario. La sua speranza, che un giorno non troppo lontano si possa alzare un argine solido davanti a un nemico subdolo e anarchico, che cospira nell’ombra e decide all’improvviso di ribellarsi contro se stesso.
«Perché si apra una percorso nuovo, perché la malattia possa essere affrontata a 360°, con il mio compagno Fotios (medico oncologo a sua volta), mio fratello Michele e altri 3 amici di creare una fondazione che, dal primo gennaio, ha iniziato ufficialmente il suo viaggio».
Si chiama Kiss
«Non è l’acronimo di niente – continua Marta - Significa proprio bacio, volevamo un messaggio che trasmettesse l’idea di un contatto intimo, di calore e aderenza al problema».

E l’idea quando è partita?
«Mesi fa. Le ultime righe dello statuto le abbiamo finite di scrivere intorno alla seconda settimana di dicembre. La ricerca sarà un aspetto importante della nostra mission, ma non la sola. Geni e proteine appartengono a un ramo, per molti, astratto del problema. Vogliamo calarci nel concreto, nella battaglia di tutti i giorni. Ci occuperemo di consulenza, un servizio che in pochi fanno: sarà gratuita e qualificata. Quando la malattia viene a galla, sconforto e paura sono i due sentimenti maggiori. Il nostro obiettivo è fare rete, rispondere alle prime domande: dove, come e a chi rivolgersi. Ci saranno poi altri tipi di sostegno, orientati sempre al paziente e ai familiari».

Una fondazione è un motore complesso e non funziona senza benzina. I fondi spesso sono un problema...
«È un aspetto serio e difficile da affrontare. Ci saranno delle iniziative nei prossimi mesi. Per ora, anche per farci conoscere, abbiamo lanciato una raccolta attraverso l’acquisto di un cadeaux. Un jar, simile a un porta lume, con all’interno una saponetta all’olio d’oliva e dei ritagli di giornali. Un regalo simbolico che da una parte richiama a un corretto stile di vita (le proprietà benefiche dell’olio ndr), dall’altra all’informazione che genere prevenzione».
Prevenzione che passa dai progressi della ricerca. A Chicago, due anni fa, hai ricevuto il premio Merit Award della Conquer Cancer Foundation
«Ho avuto la possibilità di questa borsa negli Stati Uniti e di entrare a far parte di un gruppo di ricerca dove ho potuto imparare molto e confrontarmi con una realtà e un metodo di approccio e sviluppo differente. Sono stati nove mesi intensi, pieni di difficoltà e studio. Il mio è stato un piccolo contributo. È stata una bella soddisfazione, uno stimolo a continuare e salire un altro gradino».

E pensare che la medicina non era la sua prima scelta
«Negli ultimi mesi di liceo ero confusa. Avrei voluto lavorare nel campo della cooperazione internazionale e la scelta più logica mi era sembrata scienze politiche. Ho messo sul tavolo pro e contro, nella seconda c’era la necessità di viaggiare molto, mi avrebbe tenuto lontano dalla mia famiglia: un ostacolo che non mi avrebbe fatto svolgere al meglio il mio lavoro. Così ho deciso per medicina, spinta anche dall’esempio di mio padre, anche se non ho mai avuto troppa simpatia per i figli d’arte».
Papà Giorgio ha fatto e dato molto come uomo e medico. Il suo contributo nel campo della neuropsichiatria ha cambiato il modo di approcciarsi al problema. Mai pensato di continuare il suo lavoro?
«In qualche modo lo faccio. La scelta della specializzazione in oncologia è stata un scintilla. È un campo dove spesso si naviga a vista, ero stimolata dalla possibilità della ricerca, di portare un contributo; nel dettaglio, nei tumori di cui mi occupo: quelli gastroenterici, pancreas e colon retto (i più diffusi nella Tuscia e quelli che hanno, secondo gli indici statistici, il maggio tasso di mortalità. Per il pancreas supera l’80% ndr) Fondamentale è stato l’incontro con il mio compagno all’Università di Pisa. Continuiamo a lavorare insieme anche a Padova, all’istituto oncologico veneto».
Medico, ricercatrice e mamma con il secondo bimbo in arrivo. Quant’è difficile riuscire a coniugare tutto
«Non poco. L’arco temporale della giornata si restringe. Lavorare con i pazienti richiede un sforzo prima emotivo, e poi fisico, molto importante. Un figlio cambia la prospettive, ma le rende migliori: un pensiero che ti accompagna dal momento in cui ti svegli a quello in cui ti addormenti. Anzi, per la verità non ti abbandona neppure durante la notte. Per chi verrà dopo, soprattutto, la ricerca è un dovere morale».

Questo il link della Fondazione: https://kissagainstcancer.org/it/principale/
 
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