Rugby, orecchio staccato con un morso durante una mischia: 25enne condannato Foto Il testo della sentenza

Rugby, orecchio staccato con un morso durante una mischia: 25enne condannato
di Paolo Ricci Bitti
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Lunedì 13 Gennaio 2020, 02:02 - Ultimo aggiornamento: 25 Novembre, 11:00

Condannato il pilone che con un morso staccò il lobo dell’orecchio destro all’avversario durante una mischia del rugby: Riccardo Amadeus Fabris, 25 anni, dei Grifoni Oderzo (Treviso) è stato condannato a 12 mesi di squalifica e a 12 mesi di interdizione per aver mozzato una parte dell’orecchio al 34enne Marco Chesani, del Pedemontana Livenza Polcenigo (Pordenone). Il campionato è quello di C2.

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Si tratta di una mutilazione permanente: il 16 dicembre 2018 non riuscì il tentativo dei chirurghi di riattaccare il lobo all’orecchio.

La sentenza, emessa venerdì, è della Corte federale d’appello della Federazione italiana rugby: la giustizia sportiva in primo grado (Tribunale federale) aveva condannato per “responsabilità oggettiva” solo la società trevigiana (sanzione di 500 euro), perché non era stata raggiunta la certezza su chi avesse effettivamente morsicato il rivale. Ora invece quel nome c’è. Un nome del resto riecheggiato anche al palazzo di giustizia di Pordenone: la gravità della ferita riportata da Chesani (prognosi di 42 giorni) ha fatto scattare d’ufficio l’azione penale e il sostituto procuratore Maria Grazia Zaina ha chiuso l’inchiesta “per lesioni volontarie aggravate dall’indebolimento permanente dell’organo uditivo e da motivi abietti, ovvero al fine di ledere l’avversario nella competizione sportiva”. La vicenda, insomma, continuerà in tribunale sia in sede penale sia in quella civile.

IL TESTO COMPLETO DELLA SENTENZA


Un passo indietro dopo aver ricordato che il procuratore della Fir, Salvatore Bernardi, aveva chiesto la radiazione del giocatore in entrambi i gradi di giudizio e che sia Fabris sia il procuratore potranno ricorrere al Collegio di garanzia dello sport, il terzo grado del giudizio, che avviene non nell’ambito della federazione.

Sul campo del Polcenigo il 16 dicembre 2010 la partita del campionato di C2 (ultima serie federale, dilettanti totali) è nella fase finale con il punteggio di 10 pari, che sarà poi quello definitivo, per quello che può importare. L’arbitro Francesco Mattiello di Vicenza comanda una mischia ordinata in attacco per il Polcenigo a 5 metri della linea di meta trevigiana. Il filmato agli atti del processo è importante per i tempi dell’azione più che per la qualità delle immagini.

Chesani è pilone destro: la sua testa, quando l’arbitro ordina l’ingaggio, si infila fra quella del pilone sinistro e del tallonatore dell’Oderzo. Le spalle cozzano con un suono sordo, 8 giocatori da una parte, 8 dall'altra; le guance, non rasate da due giorni, sfregano le une contro le altre come carta vetrata. L’orecchio destro di Chesani è però raggiungibile, in questa fase, ritengono la Procura e la Corte federale d’appello, solo da Fabris. Dal momento dell’ingaggio passano appena 9 secondi prima che la prima linea del "pacchetto" trevigiano si “stappi”, ovvero Fabris lascia la posizione ad angolo retto, si stacca e si allontana, mentre il resto della mischia ruota e crolla. Chesani finisce sotto gran parte dei giocatori di entrambe le squadre, ma in quel momento il morso è già stato dato.

Il friulano urla dal dolore e i suoi compagni si danno da fare per aiutarlo a trovare il lobo amputato.



Per la Corte federale d’appello evidentemente solo Fabris può aver mutilato il rivale. Il giocatore dell’Oderzo ha sempre negato ogni responsabilità ricordando anche che sulla sua maglia non sono state trovate tracce di sangue e che aveva il paradenti. Inoltre l’arbitro non ha visto alcuna irregolarità. La società, presieduta dall’azzurro Andrea Barattin (2 caps – presenze - nel 1996), ha sempre sostenuto che tutti i suoi giocatori i campo hanno detto, sottoscrivendolo pure, di non avere alcuna responsabilità. Versione già contraddetta in primo grado dalla giustizia federale che ha riconosciuto che il giocatore friulano fosse stato morsicato.

L’accusa ha replicato che il sanguinamento può non essere stato, almeno inizialmente, copioso e che la posizione ad angolo retto di Fabris e Chesani avrebbe fatto cadere il sangue a terra e non sulla maglia. Inoltre il paradenti (applicato dai rugbysti solo all’arcata superiore) non impedisce di causare ferite.

La foto del lobo mozzato è del resto assai impressionante. E sia il medico di campo sia il medico del pronto soccorso ritengono la ferita compatibile con un morso.

Nel frattempo la Procura ha archiviato la querela di Barattin nei confronti di Chesani, accusato dal presidente dell’Oderzo di aver diffamato la società con un post su Facebook in cui manifestava frustrazione e dolore mentre si trovava ancora al pronto soccorso in attesa di essere sottoposto alla prima, sfortunata, operazione. Ne seguiranno altre due nel tentativo di ridurre gli effetti del morso. Chesani, sul fronte della giustizia ordinaria, si costituirà parte civile. Fabris non potrà giocare per un anno e non potrà, per lo stesso periodo, svolgere alcuna attività nell’ambito dei quelle previste dalla Federugby.

CONSIDERAZIONI
Detto degli ultimi sviluppi giudiziari della vicenda, si innescano alcune considerazioni su questa storia che ha causato pesanti danni al mondo del rugby che da sempre si propone quale ambiente educativo prima ancora che agonistico. Il rugby, si sa, è nato nella città inglese di Rugby, per educare gli studenti.

E' un fatto che un giocatore di rugby abbia subito la brutale mutilazione di un orecchio con un morso. Una ferita menomante non dovuta a casuali abrasioni o altre cervellotiche e irreali circostanze. La giustizia sportiva federale non ha a disposizione granché dal punto di vista tecnico. Impossibile “congelare” la scena del crimine, raccogliere campioni di Dna, valutare immagini di mille telecamere, eccetera eccetera. Impossibile e anche logico, più che plausibile. Il teatro di questa storia è il campionato di C2, sotto c’è solo il campionato dei bar, anzi no perché in Italia il rugby non è abbastanza diffuso per essere praticato a livello di squadre di bar.

Se domani - da assoluti neofiti al punto di non sapere nemmeno che in questo gioco la palla è ovale - decidete di fondare una squadra di rugby, debuttereste subito in C2, la quinta e ultima serie federale: dilettanti puri, a volte effettivamente allo sbaraglio. Persone che fino a 42 anni sostengono di tasca propria ogni spesa per divertirsi, per orgoglio, per senso di appartenenza al club, per rappresentare il proprio borgo, il proprio quartiere, per dare l’esempio, per poter raccontare ai bambini e alle bambine che giocare a rugby è meraviglioso. Questi i premi in palio nel 99% del rugby mondiale, non solo nella C2 italiana.

Eppure nell’ambiente del rugby da oltre un anno si aggirava un giocatore che aveva staccato con un morso un pezzo di orecchio a un avversario. Che poi sarebbe l’avversario con cui dopo il match si celebra il famoso terzo tempo, il marchio di fabbrica del rugby: in campo niente sconti, fuori tutti amici. Niente sconti, ma nel rispetto del regolamento e, in questo caso, anche delle regole che la comunità civile, rugby o non rugby, si è data. Le questioni non si regolano a morsi, dentro e fuori al campo, insomma. Va da sé che quel giorno a Polcenigo non c’è stato alcun terzo tempo.

Che il morsicatore non c’entri nulla, allora, con l’ambiente del rugby, è un altro fatto. Non ne ha diritto, almeno fino a quando non ammette le proprie responsabilità.

Chi è stato a dare il morso? Escludiamo il giocatore ferito e suoi 14 compagni? Escludiamo anche tutti i trequarti (i giocatori che non fanno parte della mischia) dell’Oderzo? Escludiamo anche i giocatori della mischia trevigiana non a tiro di denti di Chesani? Quanti sono i possibili colpevoli? Tre? Due? Uno?

In verità anche chi ha solo qualche nozione di rugby si è subito fatto un'idea: fase iniziale della mischia; orecchio destro mozzato al pilone destro; morso dato dal pilone avversario sinistro. Una sequenza, quella inserita fra queste righe, che non ha alcun valore probatorio, sia chiaro. Ma sottoponete il quesito a qualsiasi pilone di qualsiasi livello di qualsiasi nazione e ascoltate le risposte.

La foto sotto (un test match fra Sud Africa, verde, e Samoa, blu)) non vuole certo sostituirsi agli atti del processo, vuole solo dare qualche indicazione a chi non conosce il rugby.



Chesani, il mutilato, era nel posto del numero 3 blu, Fabris è nel posto del numero 1 verde. Il morso, ha stabilito la corte federale d’appello, è stato dato dal numero 1. Si chiama, questa fase del gioco (che del gioco è primordiale e affascinante simbolo, origine, incipit, architrave), mischia “chiusa” oppure “ordinata”. “Ordinata” dall’arbitro e “ordinata” perché almeno nei primi secondi in cui si sviluppa, si svolge su binari cristallizzati ormai da un paio di secoli.

A ogni modo già in primo grado il tribunale federale aveva riconosciuto che il morso era stato dato da un giocatore dell’Oderzo.

Che cosa avrebbe potuto fare il morsicatore ben prima di quella sentenza? E la sua società? Sia per il bene del giocatore e del club sia per il bene dello sport che si pretende di giocare. Senza dimenticare il bene del mutilato Chesani.

Potevano tacere entrambi e accusare tutti gli altri di diffamarli. Ed è quello che hanno fatto. L'Oderzo, in realtà, ha inizialmente sospeso Fabris, senza comunque citarlo. Forse perché lo riteneva, se non colpevole, almeno sospetto? Macché: temeva "atti ritorsivi" nei confronti del giocatore, confidava nelle sue "genuine dichiarazioni" e voleva non esporlo "ad atteggiamenti ostili posti in essere dalla stampa di settore". 

Ecco il comunicato postato all'epoca su Facebook:
“A seguito dei fatti accaduti durante il match dello scorso 16 dicembre in casa del Pedemontana Livenza la società sportiva Grifoni Rugby Oderzo Asd, con decisione unanime del Consiglio Direttivo, ha deciso di sospendere temporaneamente dalle attività sportive il giocatore schierato pilone sinistro nella partita in oggetto. I motivi di tale decisione risiedono, da una parte, nell'esigenza di tutelare l'atleta da eventuali atti ritorsivi da parte di terzi nel corso delle future gare, così limitando l'esposizione dello stesso agli atteggiamenti ostili posti sin qui in essere dalla stampa di settore. Dall'altra parte, nell'opportunità di attendere l'esito delle indagini che la Procura Federale vorrà disporre, comunque confidando nella genuinità delle dichiarazioni rese dall'atleta”. 



Di vicinanza al giocatore mutilato nessuna traccia. Esprimerla poteva rappresentare il primo passo per tentare di comporre la vicenda purtroppo non inedita: il rugby ne aveva già viste di queste brutalità. Per quanto ben poco commendevole, può pure capitare di perdere il lume della ragione. Un attimo di follia. Capita, effettivamente, nel rugby, in altri sport, nella vita.

Poi però, se si vuole tentare di guardarsi di nuovo allo specchio, arriva il momento di riconoscere di avere perso la testa. Dopodiché, è sicuro, la famiglia del rugby ti invita di nuovo alla sua tavola.

Con il suo silenzio che cosa ha ottenuto finora il giocatore indicato come colpevole della Corte federale d’appello? E il club, con il sostenersi persino vittima della vicenda aumentando a dismisura l’eco della storia? Giocatore e società hanno ottenuto due sentenze di condanna dalla giustizia sportiva. Molto più miti di ciò che potevano essere, ma comunque di condanna. E ora sulla questione incombe il versante della giustizia penale e quello dei risarcimenti.

Dopo averla spalancata, il “morsicatore” ha tenuto ben chiusa la bocca. E il suo club l’ha aperta per attaccare gli altri. Quei denti, oltre che nel lobo, sono affondati nell’anima del rugby.

Paolo Ricci Bitti









 

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