«Pagata 6 volte meno del mio collega»: giornalista Bbc fa causa per discriminazione e vince

«Pagata 6 volte meno del mio collega»: giornalista Bbc fa causa per discriminazione sessuale e vince
di Maria Lombardi
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Venerdì 10 Gennaio 2020, 17:33 - Ultimo aggiornamento: 1 Marzo, 23:11

«Faccio lo stesso lavoro del mio collega e vengo pagata sei volte di meno». La giornalista Samira Ahmed fa causa alla Bbc per «discriminazione sessuale» e vince. La presentatrice inglese si è rivolta ai giudici sostenendo che la sua retribuzione per condurre "Newswatch" avrebbe dovuto essere pari a quella del collega Jeremy Vine, che presenta "Points of View".  Samira Ahmed calcola che avrebbe guadagnato 700mila sterline in meno del collega. 

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Per i giudici del London Central Employment Tribunal la giornalista ha ragione: la Bbc, sentenziano, 
«non è riuscita a confutare la presunzione di discriminazione sessuale», come riferiscono i siti dei quotisiani inglesi. Ahmed era pagata 465 sterline per ogni puntata del suo programma, mentre il collega Vine ne riceveva tremila.

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«Chiedo solo perché la Bbc pensa che io valga solo un sesto del valore del lavoro di un uomo per fare un programma molto simile», la questione posta dalla giornalista. Una giuria di tre giudici ha stabilisto che i programmi sono equivalenti: sono lunghi 15 minuti, hanno un formato simile e, cosa più importante, le minime differenze «non hanno alcun impatto sul lavoro svolto dai due presentatori, né sulle capacità e sull'esperienza necessarie per presentare i programmi», hanno scritto il giudice il giudice H. Grewal e i membri della Corte Godecharle e  Secher.

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I giudici hanno respinto l'argomentazione della Bbc secondo cui poiché Vine presentava un programma che in precedenza aveva anchorman noti come Terry Wogan avrebbe sostenuto una pressione maggiore.
«Non riteniamo che il ruolo di Vine sia stato di maggiore responsabilità», hanno affermato i giudici. «Certamente non è stata maggiore della responsabilità della presentrice di Newswatch». 
Il commento della giornalista dopo la sentenza: «Nessuna donna vuole agire contro il proprio datore di lavoro. Non vedo l'ora di continuare a fare il mio lavoro, riferire storie e non esserne protagonista».

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