Rischiò la vita su un barcone: Ibrahim, 20 anni, studia per diventare chef

Rischiò la vita su un barcone: Ibrahim, 20 anni, studia per diventare chef
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Giovedì 9 Gennaio 2020, 17:48 - Ultimo aggiornamento: 19:03
Ha rischiato la vita per raggiungere l'Italia su un barcone e ora sogna di diventare uno chef. Ha lasciato la Nigeria dilaniata da guerre e miseria ed è arrivato a Termoli dove sta studiando per diventare un cuoco. E' questa la storia di Ibrahim, 20 anni, ospitato da tre anni alla Casa di Kore, struttura dalla quale dovrà andare via presto per trovare una sistemazione autonoma.
«Sono stato accolto e trattato come un figlio - ha detto - Ho passato dei brutti momenti, ma ora ho una nuova vita. La Casa di Kore è per me una vera famiglia. Frequento il quarto anno all'Istituto Alberghiero e punto a diventare chef». A febbraio dovrà lasciare la Casa di Kore, trovarsi una casa e pagarsi l'affitto. «Qui ho trovato tutto: affetto, sostegno, una seconda famiglia. Non desidero lasciare la scuola, rinunciare a diventare chef. Spero che si troverà una soluzione per me». Ibrahim si è imbarcato a 16 anni dalla Libia dove ha trascorso due mesi prima di riuscire a trovare il passaggio su un barcone. «In Nigeria si vive nella paura. C'è Boko Haram. I soldati sono vicino ai confini dei paesi. Se attraversi puoi essere ucciso. È molto pericoloso - spiega -. Nel mio paese non c'è nulla, non c'è lavoro. Non si riesce a vivere. Quando decidi di uscire dal villaggio devi pagare per passare e hai il 50 per cento di possibilità di uscire vivo».
Il ragazzo racconta la fuga dall'Africa per arrivare in Italia. «Sono partito senza soldi, senza niente.
Per strada ho fatto tanti lavori. Passare i confini vuol dire nascondersi in camion tra merci e sperare di restare vivi. In Libia ho lavorato come bracciante. Lì sono molto cattivi. Picchiano con il martello perché sei diverso, non parli l'arabo. Dormivo per strada e non sempre riuscivo a mangiare. Poi sono riuscito a partire. Era una barca piccola. Avevo molta paura. A quel punto, però, non puoi tornare a casa e non puoi restare in Libia perché lì è ancora più pericoloso. Siamo salpati di notte. Sono morte diverse persone durante la traversata. È molto dura, troppo. C'erano molti bambini che piangevano, tanta disperazione. All'alba ci ha avvicinato una nave tedesca. Quando l'ho vista, ho detto: sono salvo».
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