L'ambasciatore dell'Iran all'Onu: «Non vogliamo la guerra con gli Usa»

L'ambasciatore dell'Iran all'Onu: «Non vogliamo la guerra con gli Usa»
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Giovedì 9 Gennaio 2020, 11:51 - Ultimo aggiornamento: 19:42

Ancora acqua sulla tensione fra Iran e Stati Uniti:  Teheran non ha intenzione di entrare in guerra con gli Stati Uniti. Lo ha detto l'ambasciatore iraniano all'Onu, Majid Takht-Ravanchi, incontrando il segretario generale dell'organizzazione Antonio Guterres. Lo riferisce l'Isna. Nel corso del colloquio, l'ambasciatore della Repubblica islamica ha anche espresso la sua condanna per la negazione del visto da parte americana al ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif per partecipare questa settimana al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a New York, definendola una violazione dell'accordo tra Usa e Onu. La visita di Zarif era programmata prima dell'esplosione della crisi di questi giorni con Washington.

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I Danni nelle basi Usa
Sono cinque le zone colpite e distrutte nella base area irachena al-Asad dai missili iraniani l'altra notte, come rappresaglia per l'omicidio del generale Qasem Soleimani da parte degli Stati Uniti: lo mostrano chiaramente le immagini scattate dal satellite SkySat dell'azienda Planet. Nelle foto si possono vedere in modo nitido quali edifici sono stati ridotti in macerie nella base aerea che ospita le truppe americane, insieme all'aeroporto di Erbil, l'altro sito colpito dai missili iraniani. SkySat è una costellazione di 15 satelliti, ognuno dei quali grande quanto un minifrigorifero, capace di cogliere le caratteristiche di oggetti sulla superficie terrestre anche molto piccoli, con una risoluzione di circa 72 centimetri. Questi satelliti sono usati per fotografare anche i missili di Iran e Corea del Nord.



Rohani a Boris Johnson: «Staccati dagli Usa»
Il presidente iraniano Hassan Rohani ha discusso della crisi con gli Usa in una telefonata con il premier britannico Boris Johnson. Nel colloquio, riferiscono i media iraniani, il capo del governo di Teheran ha chiesto a Johnson di «smettere di seguire gli Stati Uniti e riconsiderare la posizione» sull'uccisione del generale Qassem Soleimani, sostenendo che «se non fosse stato per i suoi sforzi» nella lotta all'Isis, «oggi Londra non sarebbe altrettanto sicura».

Il consiglio europeo
Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel in una conversazione telefonica con il presidente iraniano Hassan Rohani ha invitato l' Iran ad «evitare azioni irresponsabili», esprimendo la «speranza che non ci siano ulteriori tentativi di aumentare la tensione nella regione», in modo da arrivare ad una «de-escalation della situazione in Medio Oriente». Ne dà notizia il Consiglio.

L'arcivescovo di Erbil: 
«Un Iraq senza Cristianesimo sarebbe un disastro per tutti»
«Questa è la nostra patria e non vogliamo andarcene. Per sopravvivere e prosperare abbiamo bisogno del sostegno della comunità internazionale. Un Iraq senza Cristianesimo sarebbe un disastro per tutti». L'arcivescovo caldeo di Erbil, monsignor Bashar Warda, esprime ad Aiuto alla Chiesa che Soffre tutta la sua preoccupazione a seguito delle tensioni tra Iran e Usa. Il presule afferma come l'attuale situazione stia minacciando il delicato equilibrio in cui vive il popolo iracheno, stanco delle sofferenze causate da decenni di guerra e preoccupato per il futuro. In questo difficile contesto, le minoranze religiose quali cristiani e yazidi sono ancora più esposte e svantaggiate a causa del mancato riconoscimento dei loro diritti. «Non esiste uguaglianza per i non musulmani che vivono sotto la legge islamica. La tolleranza o l'intolleranza dipendono esclusivamente dai capricci di chiunque sia al potere». Dopo l'uccisione del generale Soleimani da parte degli statunitensi, la comunità cristiana d'Iraq teme fortemente quell'equazione subita ormai da molti anni: cristiani uguale Occidente, uguale Stati Uniti. «Temiamo ritorsioni, specie a causa di un sistema di governo che predica la disuguaglianza e giustifica la persecuzione. Siamo un bersaglio facile ed è molto probabile che chi ci attacca resterà impunito. Agli appartenenti alla maggioranza viene insegnato che sono superiori e dunque legalmente autorizzati a considerare gli altri inferiori sulla sola base della loro religione». Dall'inizio della guerra nel 2003 la comunità cristiana irachena è diminuita del 90% e le attuali tensioni potrebbero portare ad un nuovo esodo. «I fedeli hanno già lasciato il Paese in gran numero dopo l'invasione del 2003 e l'arrivo dell'Isis nel 2014. Non c'è da stupirsi se la nostra comunità sta velocemente scomparendo», afferma il presule chiedendo alla «comunità internazionale di intervenire, usando la propria influenza per calmare le tensioni in atto» tra Iran e Usa. Nonostante le difficoltà, la Chiesa irachena continua a sperare in una visita di Papa Francesco. «Accadrà sicuramente anche se non so quando. Lascio questo alla preghiera e alla volontà dello Spirito Santo. Confidiamo in Gesù»



 

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