Autostrade, il documento riservato: «Fallimento certo se c’è la revoca della concessioni»
TEMPI STRETTI
Il particolare rilevante dell’opzione in mano ad Aspi, che così facendo eviterebbe la prospettiva del fallimento, è tutto nei tempi. Ci sono soltanto tre settimane per avviare una trattativa, ora inesistente, e arrivare a un compromesso. Se il premier Giuseppe Conte vuole evitare di imboccare un lungo contenzioso da 23 miliardi, oltre al risarcimento certo delle opere già fatte, agli investimenti futuri nelle nuove opere che rimarrebbero scoperti fino a una nuova convenzione, sarà costretto a valutare bene il da farsi con i suoi ministri. Senza contare che, nonostante il rotondo indennizzo, la società Autostrade, senza più la principale fonte di proventi, sarà costretta a ridurre in maniera importante il conto dei 7.000 dipendenti impegnati in Italia. Così si spiega anche la preoccupazione espressa dal ministro delle Infrastruture, Paola De Micheli, tanto accorta da non richiamare una minaccia di revoca, nonostante le «evidenze della scarsa manutenzione», ma più concentrata a sottolineare che «il governo dovrà valutare le risultanze delle verifiche fatte, l’impatto finanziario e soprattutto l’impatto occupazionale di qualunque decisione. Si dovrà far carico della soluzione di entrambi i problemi».
L’altro particolare interessante di questo scontro è che di fatto il gruppo Autostrade-Aspi ha già dichiarato con ogni evidenza, non solo al governo ma anche al mercato, qual è la rotta imboccata. È scritto a chiare lettere nella nota del 22 dicembre scorso, diramata subito dopo il Consiglio dei ministri che ha approvato il Milleproroghe. Il cda di Aspi, ribadendo i «rilevanti profili di incostituzionalità e contrarietà a norme europee» del decreto in questione, sulla scia della riforma voluta dall’ex ministro Antonio Di Pietro nel 2006 e poi modificata sotto pressione dell’Ue, ha infatti scritto al ministro De Micheli, al premier Conte e al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Nella lettera si osserva che «una norma con contenuti analoghi a quelli indicati nell’art. 33 (del Milleproroghe, ndr) determinerebbe il verificarsi dei presupposti di cui all’art.9 bis comma 4 della Convenzione e quindi la risoluzione di diritto della stessa». Il tutto in nome «del rispetto del principio di affidamento» e a tutela di società e stakeholders.
Dunque, altro non vi è da aggiungere. Il confronto nel cda di Aspi, ieri, non ha fatto che confermare la strada obbligata per la società. A meno che non spunti provvidenzialmente una modifica del decreto Milleproroghe, che ne limiti gli effetti alle convenzioni future, lasciando fuori quelle in corso, compresa quella di Aspi: solo un passo del genere potrebbe spingere Aspi, che fin qui non si è mai sottratta al dialogo, a sedere al tavolo della trattativa. È ciò che chiede del resto anche l’Aiscat, l’associazione italiana delle società concessionarie: «Sediamoci a un tavolo e facciamo un negoziato», è l’appello lanciato ieri. Intanto Moody’s ha tagliato di nuovo ieri, a distanza di un mese il rating sul debito di Atlantia (da Ba1 a Ba2), di Aspi (da Baa2 a baa3) e Adr. È l’effetto Milleproroghe. E la società di rating non esclude altre mosse.
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