Roma, differenziata giù per la prima volta: i netturbini inabili «a fare le scale»

Roma, differenziata giù per la prima volta: i netturbini inabili «a fare le scale»
di Lorenzo De Cicco e Mauro Evangelisti
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Mercoledì 11 Dicembre 2019, 00:48 - Ultimo aggiornamento: 01:21

Il fallimento di tre anni e mezzo di politiche dei rifiuti della giunta Raggi è stato certificato dai dati ufficiali dell’Ispra sul 2018, diffusi ieri. L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale spiega che nel 2018 la differenziata a Roma è diminuita, cosa mai avvenuta. Siamo passati dal 43,2 per cento del 2017 al 42,9 del 2018. Per il M5S, che aveva puntato tutto sulla differenziata spiegando, nel 2017, che discariche e inceneritori non sarebbero serviti, ha il sapore di un’umiliazione.

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Con Alemanno sindaco la differenziata era passata dal 24,1 del 2011 al 29,7 del 2013. Marino lasciò a fine ottobre 2015 con la differenziata al 38,8 per cento. Arriva il commissario Tronca e a metà 2016 viene eletta Raggi. Il dato di quell’anno dunque non è ancora frutto delle politiche a 5 stelle e si chiude con un lusinghiero 42 per cento. Nel 2017 vengono applicate le politiche della giunta Raggi che promette la differenziata al 70 per cento entro il 2021. Invece, già nel primo anno a 5 stelle c’è una frenata, la differenziata cresce solo dell’1,2 per cento. Vengono spesi molti soldi e impiegate risorse umane, promesso un nuovo sistema con i sacchetti che hanno il chip e consentiranno di tracciare i rifiuti per fare pagare la tariffa puntuale. La realtà però è diversa. 
Nel 2018 la differenziata per la prima volta scende, torna al 42,9 per cento. E c’è di peggio: al contrario del piano della Raggi che promise anche una riduzione dei rifiuti prodotti, emerge esattamente il contrario. Nel 2017 furono prodotte 1.687.017 tonnellate di rifiuti, nel 2018 1.728.428.

Significa che l’indifferenziato - ciò che dopo il trattamento finisce nelle discariche e negli inceneritori - a Roma è aumentato drasticamente, rendendo ancora più grave la carenza di impianti. Malgrado il flop di Roma, nel Lazio la differenziata cresce e dal 45,71 del 2017 arriva, nel 2018, al 47,34. C’è un altro elemento che affossa tanto Roma, quanto le altre province: anche fare bene la differenziata serve a poco, perché non ci sono gli impianti. Lazio e Campania sono le due regioni che esportano la parte più consistente di frazione organica. Roma e le altre province portano fuori regione 270 mila tonnellate, soprattutto in Friuli e Veneto. Ieri Ama ha fatto sapere che la differenziata a ottobre era al 45,7 per cento. Ma è un dato che conta poco. Primo, perché comunque è bassa la qualità e dunque una parte di quella percentuale viene respinta dagli impianti di riciclo e finisce comunque in discarica. Secondo, perché ciò che conta è il dato complessivo dell’indifferenziato, che resta altissimo.

Se il “porta a porta” arranca è anche perché tanti netturbini non vogliono farlo. Uno su 3, come abbiamo raccontato ieri, si dichiara «inabile». Tra i 1.500 operatori col certificato, c’è anche, spiega la Uil, chi lamenta l’impossibilità «di fare gradini e rampe», insomma «di raggiungere i luoghi dove sono posizionati i bidoncini della differenziata nei condomìni». Tra «tendinopatie», «ernie discali», fastidi legati «alle vibrazioni trasmesse dagli automezzi», «allergie» allo smog, i netturbini finiscono a fare tutt’altro: un centinaio lavora come usciere, altri raccolgono le cicche. Ora il nuovo ad, Stefano Zaghis, ha ordinato visite mediche a tappeto e i primi 200 «inidonei», quantomeno, faranno gli spazzini di quartiere.
 

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