Ilva, Conte boccia gli esuberi di Mittal: nel piano Cig e l’ingresso dello Stato

Ilva, Conte boccia gli esuberi di Mittal: nel piano Cig e l’ingresso dello Stato
di Roberta Amoruso e Alberto Gentili
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Venerdì 6 Dicembre 2019, 00:20 - Ultimo aggiornamento: 8 Dicembre, 20:18

Il nuovo progetto di ArcelorMittal per l’ex-Ilva «è da respingere». La durezza del premier, Giuseppe Conte, conferma quanto il governo sia deciso a dare battaglia pur di spingere la multinazionale a trattare e a dare un futuro all’acciaieria di Taranto. A patto che si trovi una strada possibile, viste le distanze tra i 1.000-1.500 esuberi accettabili per il governo e i 4.700 esuberi chiesti da Arcelor-Mittal. Ora i franco-indiani aspettano le contro-mosse di Palazzo Chigi, un piano nero su bianco, non solo annunci. 

E dunque è un piano con quattro punti centrali, secondo quanto ricostruito dal Messaggero, quello che presenterà entro lunedì il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. Il primo obiettivo è arrivare a 8 milioni di tonnellate di produzione a fine piano contro le 4,5 previste per il prossimo anno, tra Afo a carbone, forni elettrici e “preridotto” a gas, una tecnologia pulita che riduce fortemente le emissioni. Il secondo punto prevede una schema di tutela occupazionale con vari strumenti di accompagnamento da utilizzare nei 4-5 anni di piano. Sarebbe poi garantito l’ingresso dello Stato, con modalità al vaglio del Mef. A partire dall’opzione Invitalia. Infine - e questo è il quarto punto - l’ex-Ilva avrebbe un futuro nel segno dell’”idrogeno”. È su questi punti che Palazzo Chigi intende impostare d’ora in poi la trattativa. 

Una volta scoperte le carte del governo, il gruppo franco-olandese non potrà non trattare, si dice dalle parti di Palazzo Chigi. Ieri Arcelor-Mittal ha chiesto la terza proroga per 13 settimane dell’intervento di Cassa integrazione ordinaria (Cigo) a Taranto» per un numero massimo di 1.273 dipendenti (900 operai, 104 intermedi e 269 impiegati e quadri) a partire dal 30 dicembre prossimo. Dopo un mese di trattative dietro le quinte e di contatti con il governo per imboccare una via d’uscita dopo la brusca frenata di inizio novembre, tornare al punto di partenza e alla stessa richiesta inaccettabile di esuberi, è stato un modo per il gruppo franco-indiano di spingere il governo ad alzare il velo sulle carte ufficiali. È un po’ questo il clima che si respirava negli ambienti di Mittal, sorpresi dallo stupore con il quale il premier Conte, e il ministro Patuanelli hanno accolto il nuovo piano 2020-2024, ora nero su bianco della multinazionale. 

«Il progetto» di ArcelorMittal «che ci è stato anticipato non va assolutamente bene, è molto simile a quello originario, lo respingiamo». ha detto ieri il premier: «Lavoreremo durante questo negoziato - ha assicurato - agli obiettivi prefissati con il signor Mittal e che il signor Mittal si è impegnato con me personalmente a raggiungere. E ci riusciremo». Un modo per lasciare aperto il negoziato, evidentemente. e centrare l’obiettivo di realizzare a Taranto uno stabilimento siderurgico all’avanguardia in Europa. Tra gli impegni chiesti dal governo ci sarebbe poi anche la garanzia per il risanamento ambientale e la riqualifica di Taranto. Quanto alla partecipazione dello Stato, le valutazioni in corso non escludono un ruolo seppure indiretto della Cassa depositi e prestiti, visto che non può intervenire per statuto in aziende in perdita. Di qui l’ipotesi di una newco attraverso un’operazione di una certa complessità, che vedrebbe scendere in campo un commissario straordinario. 

Il nodo del lavoro rimane quello più difficile da sciogliere. Si può immaginare un ricorso alla cassa integrazione ordinaria e agli incentivi all’esodo, per tamponare una fase di transizione, prima di entrare a regime. 
Ma potrebbero scendere in campo anche altre controllate dello Stato nell’ottica di ridurre al massimo gli esuberi, non più di 1.500, e salvaguardare i livelli occupazionali. A spingere ArcelorMittal a trattare rimane la minaccia di pagare il conto salato che spetta a chi non mantiene i patti. Sarà meglio riavviare la trattativa entro il 20 dicembre, data in cui il Tribunale di Milano tornerà a esaminare il contenzioso tra i commissari straordinari e il gruppo franco-indiano sulla richiesta di recesso. Patuanelli è convinto che se il giudizio andrà avanti (ora è sospeso in attesa degli sviluppi della trattativa) e se si arriverà a sentenza, ArcelorMittal avrà la peggio.

IL CONTRATTO STRAPPATO 
Sulla stessa linea sono i sindacati. che ricordano l’impegno della multinazionale a mantenere, indipendentemente dalla situazione del mercato, 10 mila posti di lavoro fino al 2023 con una penale prevista di 150 mila euro su ogni lavoratore messo alla porta sotto quella cifra. Si »pensi a far pagare all’azienda il mancato rispetto dell’accordo«, dice la Uilm. Di sicuro dalle ore 23 di lunedì 9 a Taranto inizierà lo sciopero - indetto dai metalmeccanici di Fiom, Fim e Uilm - che si concluderà alle ore 7 dell’11 dicembre. Tutto contro »un ridimensionamento non solo sull’area a caldo ma anche su buona parte dell’area laminazione e tubifici, determinando di fatto oltre 6.000 esuberi», dicono. A sostegno dei lavoratori c’è chi invoca lo sciopero di tutta la città. Ma la vicenda non può che toccare tutta Italia. Ne è consapevole Federmeccanica: «Ci preoccupano gli scenari relativi all’ex Ilva, perché le sue sorti sono determinanti per la metalmeccanica, per l’industria e più in generale per il Paese». 
 

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