Vittorio Parsi
Vittorio Parsi

Il futuro dell’Alleanza/ All’Europa serve l’esercito per rafforzarsi nella Nato

di Vittorio Parsi
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Mercoledì 4 Dicembre 2019, 00:58
Sotto un certo punto di vista, al compimento del 70esimo anno, la Nato si ritrova con le stesse esigenze sintetizzate efficacemente nel 1952 dal suo primo Segretario generale, Lord Ismay: “Tenere i russi fuori, gli americani dentro e i tedeschi sotto”. Ovvero, consolidare la speciale relazione politico-militare con gli Stati Uniti, tenera a bada i russi ed impedire il sorgere di egemonie dall’interno dell’Europa.
Ma è il contesto circostante che è significativamente cambiato, con l’emergere della centralità di tre aree – il Pacifico, l’Africa e il Medio Oriente – e un protagonista – la Cina – che hanno se non marginalizzato sicuramente relativizzato il peso dell’oceano sul quale l’Alleanza atlantica insiste. 
La Cina con la sua Belt and Road Inititative sta perseguendo un progetto strategico ed economico tricontinentale, che passa per il rapporto con la Russia e il suo ruolo di cerniera verso Europa e Medio Oriente, in grado di dare forma a un emisfero orientale contrapposto all’emisfero occidentale. 
In una simile prospettiva, spezzata l’alternativa cornice transatlantica, il destino dell’Europa, unita o meno, sarebbe irrimediabilmente ricondotto al vincolo geografico di essere una penisola dell’Asia. 
La competizione strategica, politica ed economica tra Cina e Stati Uniti ha portato questi ultimi a fare del Pacifico il pivot della propria azione fin dalla presidenza Obama. L’Africa, in attesa che riesca a darsi una soggettività politica consistente, è per ora ancora terra di conquista: in gran parte attratta nell’orbita economica cinese (per quanto ancora contesa dalla Francia). Dal Medio Oriente gli Stati Uniti si vanno progressivamente e selettivamente defilando, lasciando di fatto campo aperto alla Russia, i cui rapporti con Pechino sono eccellenti e sempre più strettamente intrecciati: è dei giorni scorsi l’inaugurazione del gasdotto “Power of Siberia”, prima effettiva attuazione degli accordi di fornitura firmati nel 2014, al culmine della crisi di Crimea.
Ma proprio in Medio Oriente il ritrinceramento americano lascia anche quel gran caos che costituisce una pesante ipoteca per l’Europa. L’Amministrazione Trump ha “gestito” , senza nessuna attenzione per i nostri interessi di sicurezza, tanti esplosivi dossier: dalla questione israelo-palestinese (trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscimento delle annessioni del Golan e degli insediamenti illegali nei Territori occupati) al nucleare iraniano (denuncia unilaterale del Jcpoa con nuove sanzioni a grappolo), dalla guerra al terrorismo (abbandono dei Curdi in Siria, soluzione “vietnamita” per l’Afghanistan) all’avventurismo saudita (disco verde a Moahmed bin Salman e silenzio sulla tragedia yemenita). Quel che è peggio, i “pasticci” di Trump hanno offerto a Mosca l’opportunità di attrarre a sé la Turchia: un membro dell’Alleanza che non si limita solo flirtare con un Paese che la Nato ritiene nuovamente minaccioso, ma che gioca la “carta russa” anche nei confronti degli alleati (con il paventato veto al rafforzamento sul Baltico se la Nato non riconoscerà la “natura terroristica” delle milizie curdo-siriane dello Ypg).
In uno scenario in cosi vorticoso mutamento, occorre quindi rilanciare l’Alleanza per evitare che proprio ora l’Europa si ritrovi sprovvista di adeguata protezione. A tale scopo gettare in un unico cestino negoziale “dazi e sicurezza” asseconda forse le mosse tattiche di un presidente in declino, ma non certamente l’interesse strategico di America ed Europa. Per nulla paradossalmente, la rivitalizzazione della Nato passa invece per un avanzamento decisivo del ruolo dell’Unione nella difesa comune: non solo per rendere più evidente agli Stati Uniti l’insostituibilità e il peso politico e militare dell’alleato europeo, ma anche per evitare che la maggiore responsabilità europea finisca col sancire la crescente centralità esclusiva (e alla fin fine centrifuga) di un direttorio franco-tedesco, che non cambierebbe la sua sostanza neppure dopo l’aggiunta (peraltro improbabile) di uno strapuntino per l’Italia.
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