Al Festival internazionale del Cairo tre registe che rivoluzionano il cinema arabo

Al Festival internazionale del Cairo tre registe che rivoluzionano il cinema arabo
di Elena Panarella e Rossella Fabiani
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Domenica 1 Dicembre 2019, 21:54
In una regione in cui le donne sono ancora sottoposte a tanti divieti e sono vittime di pregiudizi – nonostante siano più numerose e spesso abbiano più successo delle loro controparti maschili – quando ci si imbatte in bellissime opere d’arte che sembrano preziose cartoline mandate da amici lontani, la speranza di un reale cambiamento diventa più forte. Come accade con tre film diretti da tre registe arabe che hanno gareggiato al Festival internazionale del cinema del Cairo. E con le proiezioni di “Let’s talk”, della regista egiziana Marianne Khoury, di “Between Heaven and Earth”, della regista palestinese-giordana Najwa Najjar, e di “Scales”, della regista saudita Shahad Ameen, al 41mo Festival internazionale del cinema del Cairo da poco conclusosi, quelle cartoline si trasformano, diventano un viaggio nei luoghi dove queste registe sono state, ma anche dove il cinema arabo sta andando. 

Marianne Khoury è nota come la produttrice di alcuni film di suo zio, il leggendario Youssef Chahine, nonché delle opere di Yousry Nasrallah. Ma la regista egiziana è anche la potente voce dietro alcuni dei migliori documentari realizzati negli ultimi anni su donne forti e coraggiose nel mondo arabo. In “Let’s Talk”, la Khoury osserva la sua famiglia allargata e traccia le radici dell’ispirazione e del successo di Chahine attraverso le storie dei suoi stessi fratelli, di sua zia, di sua madre e persino di sua figlia Sara che studia cinema a Cuba. Il risultato è uno sguardo affascinante e toccante sulla sua famiglia. Definita la “risposta del mondo arabo ad Anna Magnani”, la regista ammette che per molti anni non è riuscita ad affrontare l’argomento con se stessa: «Mi ci è voluto molto tempo dopo la morte di mia madre nell’89. Solo un paio d’anni fa ho iniziato a guardare seriamente negli archivi. La scintilla dell’idea è stata mia figlia: è lei che ha iniziato a dare il via al film. Mia figlia si sente molto legata a mia madre, anche se non l’ha mai vista. Ma le assomiglia: le mani, a volte il modo in cui parla, e le sue reazioni alle cose della vita. Quando ha iniziato a fare domande su mia madre e ho visto quanto si sentiva vicina a lei, è stato molto forte per me». Una vita dietro la cinepresa, la famiglia filmata dalla Khoury sembra naturale e rilassata come i soggetti del suo film. Mescolando immagini potenti dall’archivio della sua famiglia - “mia nonna aveva gli archivi della famiglia che sono passati a me quando lei è morta” - “Let’s Talk” mostra il lato personale di Chahine scomparso nel 2008. «Tutti conoscono Chahine come il Big Chahine regista, mentre nel mio film è ritratto in modo diverso, molto intimo, tra la sua famiglia. È il fratello, è il figlio, è lo zio, è un altro Chahine».

Racconta invece la storia di un divorzio, che diventa un viaggio di esplorazione dell’amore in un paese diviso, “Between Heaven and Earth” della regista palestinese-giordana Najwa Najjar. Questo film arriva cinque anni dopo il suo ultimo lavoro e l’ispirazione, ha detto Najjar, «è scoccata in un negozio di falafel di Haifa, quando il proprietario mi ha raccontato di suo figlio che ha rifiutato una borsa di studio cinematografica a Londra perché è uno dei guardiani di Iqrit. In quel momento ho capito che dovevo andare a Iqrit, che dovevo fare un viaggio in quella sconosciuta città palestinese, a tre chilometri dal confine libanese e inesistente su Google Maps. Ho impiegato dieci ore per raggiungerla». E Najjar è andata con suo marito Hani E. Kort, che è anche produttore di tutti i suoi film. Per “Between Heaven and Earth”, Najjar ha scelto il Cairo come luogo per la prima mondiale del film. «Innanzitutto, adoro il Cairo International Film Festival e poi, se vogliamo che un festival nella nostra regione raggiunga il suo pieno potenziale, credo che i registi arabi dovrebbero fare tutte le loro anteprime mondiali al Ciff. Anche noi cineasti possiamo contribuire al successo di un festival a livello internazionale».

Una storia in bianco e nero che sfida i pregiudizi, ambientata in un futuro non così lontano in cui acqua e cibo sono un bene prezioso, è il film di debutto della regista saudita Shahad Ameen, “Scales”, molto discusso e pluripremiato, presentato per la prima volta alla Settimana della critica di Venezia. Una favola fantastica che è metafora dei pregiudizi della società patriarcale, tra pescatori di sirene e l’amore tra un padre e una figlia che finiscono per salvare il loro mondo. Con una fotografia mozzafiato, per non parlare delle sensazionali esibizioni della giovane attrice saudita Baseema Hajjar e dell’attore palestinese Ashraf Barhom.
Molto belli, infine, anche “Khartoum Offside”, della regista sudanese Marwa Zein, e “Noum El Deek” dell’egiziano Seif Abdallah. Il primo narra di un gruppo di giovani donne di Khartoum che decidono di sfidare il divieto imposto dal governo di formare una squadra di calcio diventando, così, un simbolo di libertà e diritto alla vita. Il secondo affronta la difficile situazione dei rifugiati sudanesi che vivono al Cairo. Il titolo “Noum El Deek”, nella cultura sudanese, indica una persona che cerca di dormire in piedi, intrappolata tra uno stato di sonno e veglia, una persona bloccata in una specie di limbo. 
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