Crisi Italia-Cina per l’evento in Parlamento con il ribelle di Hong Kong

Crisi Italia-Cina per l evento in Parlamento con il ribelle di Hong Kong
di Mario Ajello
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Sabato 30 Novembre 2019, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 11:38
Una forte tensione diplomatica. Tra Italia e Cina. La Repubblica popolare cinese è intervenuta con durezza - «Grave errore, l’Italia non ha alcun diritto d’intromettersi nei nostri affari» - sulla vicenda dei parlamentari italiani che hanno dato parola e sostegno a Joshua Wong, il leader della protesta di Hong Kong, considerato a Pechino un nemico del popolo, un pericoloso dissidente che mette a repentaglio l’ordine nel Paese comunista. E la reazione italiana alla reazione cinese è altrettanto dura, e proprio da parte di chi - Luigi Di Maio, ministro degli Esteri - per la Cina ha sempre avuto un debole: «Abbiamo sempre avuto ottimi rapporti con il governo cinese, ma i nostri legami e i rapporti commerciali non possono mettere in discussione il rispetto delle nostre istituzioni, del nostro Parlamento e del nostro governo». 

GRILLISMO E IMPERO
Insomma sui diritti civili e sulle proteste in Cina, la Farnesina sembra non voler fare sconti al gigante comunista. Il primo a rispondere alle polemiche dell’ambasciata cinese è stato, sempre di grillini si parla, Roberto Fico. «Difendo e difenderò sempre il diritto dei parlamentari di esprimere le proprie opinioni e i propri giudizi politici. Le parole dell'ambasciata cinese rispetto alla conferenza stampa cui hanno preso parte esponenti politici e lattivista Joshua Wong sono profondamente irrispettose».

Così scrive su Facebook il presidente della Camera, commentando la posizione cinese secondo cui sarebbero «irresponsabili» i nostri che hanno fatto una videoconferenza con Wong. «Il Parlamento ha infatti il diritto e il dovere di ascoltare sempre tutte le posizioni e tutte le parti in causa - conclude Fico - anche in relazione ad avvenimenti che si svolgono in altri Paesi». Ma l’ambasciata cinese in Italia insiste: «Wong ha distorto la realtà, legittimato la violenza e chiesto l’ingerenza di forze straniere negli affari di Hong Kong». 
La conferenza stampa in favore delle proteste di Hong Kong era stata organizzata l’altro giorno a Palazzo Madama da Fratelli d’Italia (con Adolfo Urso) e dai Radicali nella quale è intervenuto il leader delle anti-Pechino. Hanno partecipato tra gli altri il forzista Enrico Aimi e la dem Valeria Fedeli. La Farnesina di fronte alla protesta del regime di Pechino fa trapelare questo dissenso esplicito: «Le dichiarazioni cinesi sono inaccettabili e totalmente irrispettose della sovranità del Parlamento italiano». L’intervento a favore di Wong arriva dopo che il dissidente di Hong Kong ha anche criticato Di Maio per la sua linea di queste settimane di «non interferenza» nelle vicende cinesi che è stata considerata troppo morbida e fiancheggiatrice del governo di Pechino da parte del movimento di protesta. Che ha accusato il nostro ministro degli Esteri di «indifferenza» rispetto alla repressione in atto contro i giovani in piazza. M5S cerca ora di discostarsi da questa immagine di schiacciamento sulle posizioni del governo cinese, e fa muro di fronte alle critiche di Pechino. Creando una tensione in un rapporto che procedeva in maniera così fluida, al punto che Beppe Grillo la settimana scorsa è stato accolto all’ambasciata cinese a Roma con tutti gli onori. 

MANEGGIARE CON CURA
Nella polemica Roma-Pechino s’inserisce anche Matteo Salvini. Il quale già in passato si è distinto per una linea filo-russa e anti-cinese. Il leader della Lega, che al tempo del governo giallo-verde si era dissociato dall’attivismo grillino sulla Via della Seta per non rovinare i rapporti con gli americani, interviene adesso con queste parole: «Non siamo una provincia cinese (anche se magari Grillo la pensa così) e per noi democrazia, libertà e diritti umani sono dei valori irrinunciabili». Particolarmente drastica Giorgia Meloni, che da sempre ha attaccato l’atteggiamento cordiale o addirittura «subalterno» di M5S nei confronti del gigante comunista: «Ho già chiesto un intervento al governo italiano, ho chiesto a Di Maio di chiarire ai cinesi che qui non siamo in Cina». «Il ministro degli Esteri Di Maio - incalza la leader di Fratelli d’Italia - deve spiegare all’ambasciatore che qui i parlamentari della Repubblica fanno quello che vogliono e fanno quello che ritengono di fare senza dover temere le minacce dei cinesi». E ancora: «Considero gravissime le parole dell’ambasciatore cinese e ho chiesto a Di Maio di chiarire come funziona la democrazia dalle nostre parti». Di Maio per ora un colpo lo ha battuto, ma sa che questo caso, e l’insieme dei rapporti italo-cinesi, vanno maneggiati con molta delicatezza. 
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