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di Luca Cifoni

Con poche grandi imprese non siamo tra i grandi

Con poche grandi imprese non siamo tra i grandi
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Venerdì 29 Novembre 2019, 16:58 - Ultimo aggiornamento: 2 Dicembre, 10:53
La piccola e media impresa è storicamente un vanto dell'economia italiana, anche se questo modello - per molti aspetti sicuramente positivo - porta con sé pure alcune ben note criticità in termini di produttività, spinta alla ricerca e all'innovazione, livello delle retribuzioni. Nel mondo politico però la visione del "piccolo è bello" sembra non conoscere crisi o ripensamenti: le "piccole e medie imprese" vengono in molti casi presentate come l'unica realtà da tutelare, in contrapposizione a quelle più grandi spesso descritte come "multinazionali" o "grandi evasori" (mentre è abbastanza chiaro che nel nostro Paese l'evasione fiscale è soprattutto un fenomeno diffuso).

Questo tipo di struttura produttiva pone il nostro Paese in una posizione anomala rispetto al resto d'Europa. Lo segnala sinteticamente anche Eurostat, evidenziando in un suo approfondimento, per i vari Paesi, la componente di valore aggiunto derivante dalle aziende con più di 250 occupati e quella che invece viene da tutte le altre (è escluso il settore finanziario). La media europea vede le grandi al 43,8 per cento, con Germania e Francia che fanno leggermente meglio, intorno al 45. La Spagna è sotto la media al 39 circa, ma il livello italiano è decisamente più basso, con un 32,7 per cento che ci ricorda come oltre due terzi dell'economia dipendano dalle Pmi. Le micro-imprese, quelle con un numero di dipendenti inferiore a 10, valgono da sole circa il 27 per cento del valore aggiunto totale. 
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