La traversata è riuscita nel 1984 a Reinhold Messner e Hans Kammerlander, ma in condizioni estive. Simone Moro, nel 2011, ha compiuto la prima invernale del Gasherbrum II insieme all’americano Cory Richards e al kazako Denis Urubko.
La cordata Moro-Lunger ha già affrontato d’inverno il Nanga Parbat, il Kangchenjunga (la terza vetta della Terra) e il Pik Pobeda, in Siberia, con temperature fino a -50 gradi. La camera ipobarica dove i due si stanno preparando fa parte del terraXcube, un laboratorio scientifico di Bolzano in grado di simulare le condizioni climatiche più estreme della Terra, dall'Himalaya ai deserti.
La macchina porta gli alpinisti a quota 6400 metri, con puntate fino a 8000. Moro e Lunger sono seguiti da un team di fisiologi, e verranno monitorati anche al ritorno dalla spedizione.
«Conoscere meglio come l'organismo reagisce all'ipossia, la carenza d'ossigeno in quota, vuol dire migliorare la sicurezza delle spedizioni alpinistiche, ma anche di chi lavora ad alta quota», spiega Hermann Brugger, direttore dell'Istituto per la Medicina in Montagna di Eurac Research, di cui il terraXcube fa parte.
Alcuni alpinisti, però, vedono la cosa in modo diverso. Le settimane iniziali delle spedizioni, che servono a far acclimatare l’organismo, fanno parte dell’avventura himalayana. "E’ come salire con le bombole!" "Troppa tecnologia!" "Diamoci una regolata!" si legge nei commenti alla notizia pubblicati su Montagna.tv, il più importante sito specializzato italiano.
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