I primi dubbi sulla sincerità di quella promessa erano già sorti quando era stato respinto un emendamento dell’on. Bartolozzi, volto a collegare le due riforme promulgandole insieme, come sarebbe stato ragionevole.
Ma il governo ribadì che, anche se approvati in momenti differenti, i due provvedimenti sarebbero stati, alla fine, simultanei: insieme stanno, o insieme cadono. E le perplessità aumentarono.
Caduto il governo di allora, della riforma del processo non si è più sentito parlare, se non in termini generici e con intenzioni cartacee, intendendosi per tali le norme che impongono, sulla carta, la riduzione dei tempi senza apprestare le idonee strutture organizzative e ordinamentali. In conclusione, tra un mese il mostro giuridico della prescrizione entrerà in vigore, e i processi continueranno a durare un’eternità. Questa anomalia, come abbiamo detto più volte, confliggerà con il diritto dell’imputato a una durata ragionevole del giudizio, e con quello delle vittime a un sollecito risarcimento, che avviene solo con la sentenza definitiva. Un colossale pasticcio contro il quale hanno protestato, una volta tanto uniti, avvocati, magistrati, e, cosa ancor più singolare, la destra e la sinistra. Si, la sinistra, perché il Pd, allora come oggi, ha manifestato e continua a manifestare il suo dissenso, chiedendo il rinvio di questa sciagurata novità.
Oggi tuttavia il Pd è al governo. E qui si impongono due considerazioni.
La prima. I protagonisti di questa singolare vicenda stanno ancora lì. Il presidente Conte e il ministro della Giustizia Bonafede sono gli stessi che un anno fa si impegnarono alla contestualità dei due progetti, e tuttavia sembrano smentire sé stessi. Perché di fronte alla recente richiesta dell’opposizione di un decreto legge che rinvii la riforma della prescrizione hanno dichiarato che intanto si proceda, e poi quella del processo verrà da sé. Per dirla in linguaggio accademico, il simul stabunt simul cadent è stato sostituito da un rozzo exequatur. Che in termini brutali significa: arrangiatevi con quello che avete, e andate in Russia con le scarpe di cartone. Ora, benché la politica non sia necessariamente l’arte della lealtà e della coerenza, Conte e Bonafede dovranno pur dare una spiegazione di questo voltafaccia. La daranno, e saranno convincenti? Vedremo.
La seconda. Il Pd un anno fa non era al governo. Ma sarebbe assurdo se cercasse di cavarsela chiamandosi fuori dalla responsabilità di un simile imbroglio. Perché, e questo rende onore alla sua componente garantista, si è sempre opposto a una riforma così smaccatamente giacobina. Ora sta a lui se accogliere la proposta dell’opposizione rinviandone l’entrata in vigore, o adeguarsi al diktat grillino smentendo sé stesso e i suoi esponenti più autorevoli, primo fra tutti l’ex ministro della giustizia Orlando. E’ vero che sinora ha ingoiato numerosi bocconi amari, ma questo sembra addirittura indigesto e forse avvelenato. Il Pd ha una solida tradizione di cultura politica, e non si affida a slogan emotivi come i suoi soci. Ma se dovesse cedere anche su quest’ultimo baluardo, non gli resterebbe che affidarsi al popolo delle sardine. Un nome che peraltro evoca immagini funeste, perché “ scatole di sardine” erano chiamati i carri di latta dove i nostri soldati morivano imprigionati sotto il fuoco degli inglesi. Una fine che anche il Pd rischia di fare, se si lascia imprigionare dalla demagogia grillina.
© RIPRODUZIONE RISERVATA