Andrea Griminelli: «I miei 60 anni con Zucchero e Sting perché la classica non è d'élite»

Il flautista Andrea Griminelli
di Simona Antonucci
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Martedì 19 Novembre 2019, 22:09
Per festeggiare i suoi primi sessant’anni il flautista Andrea Griminelli ha riunito una parata di stelle: da Sting a Zucchero, da Andrea Bocelli a Renato Zero, più un’orchestra, la Stradivarius, e il coro di bambini “Sorridi con me”, che mercoledì 20 novembre, in occasione della Giornata Universale dei diritti dell’Infanzia dell’Onu, suoneranno, brinderanno con lui al PalaBigi di Reggio Emilia.

Un Griminelli and Friends: ma quanto sono importanti per lei sessant’anni?
«Macché, anzi. Con due bambine di 6 e 8 anni, farei meglio a non ricordarmelo. Il concerto è nato un po’ così, volevo stare insieme con gli amici. E siccome stiamo sempre tutti in giro, abbiamo approfittato del mio compleanno. Andrea Bocelli, poi si è aggiunto Zucchero. Sting si è riuscito a liberare, Renato Zero anche, e poi Irene Fornaciari, Amii Stewart, Sumi Jo, Beppe Carletti, Gheorghe Zamfir. E chissà, all’ultimo momento ne arriveranno altri».

Lei ha cominciato con Pavarotti: ha ereditato da lui il piacere di condividere la musica classica con i colleghi del pop?
«Diciamo che è grazie a lui che ho conosciuto Sting, che poi è stato mio testimone di nozze, Zucchero e tanti altri. E ho imparato da lui che la classica non è musica d’élite».

L’incontro?
«Avevo vent’anni quando l’ho conosciuto a Parigi. Ero lì per perfezionare gli studi. Mi ha chiesto di andare a suonare con lui nei grandi show a Central Park, Hyde Park, in giro per il mondo. Abbiamo fatto 200 concerti. Diceva che ero il figlio maschio che non aveva mai avuto. Ricordo quando mi fece avere il flauto d’oro, pregiatissimo. L’album che ho appena inciso “Nessun dorma”, con le mie arie d’opera preferite, è dedicato a Luciano».

Un ricordo? Un insegnamento?
«Il flauto è lo strumento che più si avvicina alla voce umana. E sentendolo cantare ho imparato a modulare il mio vibrato, a usare il fraseggio come un tenore».

Lei ripete che per suonare bene il flauto, bisogna considerarlo come un arto e non come uno strumento.
«Da qualche anno insegno ai corsi di alto perfezionamento dell’università di Bologna. E insisto su questo concetto. Che quando sei sul palco, il flauto non lo devi più sentire. Deve diventare parte del tuo corpo».

C’è lavoro per un flautista in Italia?

«Non c’è posto per nessuno. I musicisti sono più bravi di 40 anni fa, ma non c’è lavoro, non ci sono orchestre. Nessuno investe, la cultura è messa da parte».

E la musica è scomparsa anche dalle scuole.
«Se sono musicista lo devo alla mia insegnante delle scuole medie. Fu lei a chiamare i miei genitori. I ragazzi, oggi, hanno molti stimoli, ma si perdono dietro a mille cose. Anni fa, al tempo del long playing, quando amavi un disco lo risentivi all’infinito. Ora una canzone ti passa online e magari non sai neanche che cosa sia».

Lei 
conosce rap, trap, hip hop?
«Non tanto. Ma credo che abbiano poco a che vedere con la musica».

La scaletta del suo compleanno: come si festeggia?
«Per farmi un regalo, li accompagno tutti. Sting farà Englishman, Fragile, Roxanne. Andrea Bocelli una versione pop dell’adagio del Concierto de Aranjuez di Rodrigo. Renato Zero Più su e Potrebbe essere Dio, Peppe Carletti Io vagabondo, Zucchero Miserere, un tributo a Pavarotti, Così Celeste con i coro di voci bianche. Poi tutti gli altri colleghi, ma sono i bambini i protagonisti. Il concerto comincia con l’Inno alla Gioia e mia figlia grande, Sofia, farà una mini introduzione a piano».

A proposito di famiglia: lei è sposato con una modella colombiana, Rossana Redondo: le ha mai chiesto di smettere per starle accanto?
«Lei è soprattutto un ingegnere elettronico. E ora si gode le bambine. Il mio motto è: If You Love Somebody Set Them Free».

E dei suoi colleghi della classica che sono stati accusati di molestie ha voglia di dire qualcosa?
«Io credo che nel cinema sia possibile, nella classica è un po’ più complicato.
O sai suonare o c’è poco da fare». 
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