Rugby, il ct Conor O'Shea si è dimesso: gli azzurri di Sergio Parisse senza guida a due mesi dal Sei Nazioni. In pole c'è Smith

Rugby, il ct Conor O'Shea si è dimesso: azzurri senza guida a due mesi dal Sei Nazioni
di Paolo Ricci Bitti
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Sabato 16 Novembre 2019, 16:46 - Ultimo aggiornamento: 1 Marzo, 09:18

Il ct Conor O'Shea della nazionale italiana di rugby si è dimesso: gli azzurri del capitano Sergio Parisse senza guida a due mesi dal Sei Nazioni e una situazione di incertezza che chiama in causa i vertici della Federazione.

Il ct va creduto quando cita motivi di famiglia fra le cause del suo gesto (moglie e figlie preferiscono Londra), ma è tutto il patto-progetto fra O'Shea e la Fir che non è stato gestito evidentemente nello spirito annunciato in pompa magna a Milano nella primavera di tre anni fa. L'irlandese si è dimostrato ben presto più un pianificatore a largo respiro che un tecnico di campo (vedi le ultime cervellotiche formazioni schierate ai Mondiali), ma ora la Federugby si ritrova senza entrambe le indispensabili figure. Probabilmente alcuni dei frutti del lavoro del ct arriveranno nei prossimi anni (e in effetti il suo contratto si proiettava su 8 anni) e a beneficio non solo dalla nazionale.

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Per quanto annunciata, la notizia dell'addio del ct, giunta durante lo scialbo pareggio delle azzurre all'Aquila contro il Giappone (17-17), conferma insomma la paralisi che gli ultimi mesi ha segnato l'attività della nazionale che ora si trova senza timoniere a  meno di un mese dalle convocazioni del gruppo che in febbraio dovrà cercare di interrompere le striscia record di 22 ko consecutivi nel Sei Nazioni (gli ultimi 17 a carico dell'irlandese), ovvero 4 cucchiai di legno di fila (3 di O'Shea). L'Italia non vince un match, nel Championship, dal 2015, in casa addirittura dal 2013.

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Certo, meglio che il tecnico irlandese ingaggiato nel marzo 2016 abbia chiarito in fretta, dopo i mondiali in Giappone, che la sua strada ora porta alla federugby inglese (coordinatore della formazione, un supermanager, in altre parole nell'Union più potente del mondo) e non più al prossimo Sei Nazioni dell'Italia che sarebbe stato condotto per inerzia, visto che era nel frattempo sfumato su sua richiesta il rinnovo del contratto per altre quattre stagioni contemplato inizialmente nell'accordo di tre anni fa. 

Giunge così all'epilogo più amaro l'avventura che avrebbe invece dovuto segnare una svolta nella storia del rugby italiano. O'Shea, ex internazionale d'Irlanda e brillante tecnico e organizzatore dalla sfavillante curriculum, venne ingaggiato per pensare non solo all'oggi ma anche al domani dell'intero movimento: per questo il suo contratto era previsto 4+4 anni, con l'arrivo in Italia anche del collega Stephen Aboud per la riorganizzazione del rugby azzurro giovanile e di Michael Bradley per allenare le Zebre, la franchigia federale con sede a Parma che gioca solo nelle coppe europee. Di fatto solo Aboud, che resterà altri due anni, ha ottenuto sensibili miglioramenti facendo crescere under 18 e under 20, mentre la nazionale maggiore e le Zebre non hanno dato segni di ripresa, anzi. Frana, almeno per ora, l'idea illuminata di mettere a regime tutte le scarse risorse umane (e storiche)  del movimento rispetto a quelle degli avversari della Top 10 mondiale che ci tiene a parecchia distanza.  

O'Shea ha vinto solo 9 delle 40 partite in cui ha orchestrato l'Italia, nessuna di quelle del Sei Nazioni, le più preziose. Gridano vendetta sconfitte contro Tonga, Scozia (un paio) e Francia (almeno una). E' vero anche che il ct irlandese, con il determinante aiuto dell'assistent coach sudafricano Brendan Venter, resterà per sempre negli Annali per la vittoria che nessun rugbysta italiano sano di mente avrebbe mai immaginato e che mai più si ripeterà contro il Sudafrica, nel 2016 a Firenze, e anche per aver ridicolizzato per un'ora l'Inghilterra a Twickenham con la memorabile strategia sul fuorigioco detta Fox nel 2017. Due gemme la cui luce non basta tuttavia a rischiarare la gestione di questi utlimi tre anni il cui fallimento va equamente caricato su ct e federazione.

Ha detto O'Shea: "Ho amato ogni minuto passato in Italia e credo davvero in quello che abbiamo fatto e in quanto potrà essere raggiunto negli anni a venire. Abbiamo avviato un processo e generato una nuova, fondata speranza, ma credo anche che la fine della Rugby World Cup rappresenti il momento migliore per tutti per fare i cambiamenti in vista del nuovo ciclo. Ho costruito amicizie e fatto esperienze che non dimenticherò mai. Il lavoro di tutti noi è quello di lasciare la maglia in un luogo migliore di quello in cui l'abbiamo trovata, spero sinceramente di aver lasciato il rugby italiano in una posizione migliore. I giovani che stanno arrivando entrano a far parte di un sistema che, continuando con le giuste decisioni, non potrà che migliorare negli anni a venire. Voglio ringraziare Alfredo (Gavazzi, presidente federale) per il supporto che mi ha sempre dimostrato".
 



E' stato lo stesso Gavazzi a informare oggi il Consiglio Federale, riunito all'Aquila, della richiesta avanzata da O'Shea di rimettere con effetto immediato il proprio incarico di Commissario Tecnico della Squadra Nazionale Maggiore Maschile. La naturale scadenza dell'accordo era prevista il 30 maggio 2020.


Gavazzi: "Siamo rattristati dalla decisione di Conor di non concludere il percorso così come contrattualmente previsto. Lo ringraziamo per l’impegno e la passione con cui ha ricoperto in proprio ruolo in questi anni e gli auguriamo i migliori successi professionali negli incarichi che andrà a ricoprire”.

IL FUTURO
Attualmente lo staff della nazionale comprende il rinnovato tecnico della mischia Giampiero De Carli, il neo assistent coach Franco Smith (pragamatico ed efficace sudafricano con  uso d'Italia - e della lingua italiana - avendo vinto scudetti da giocatore e da allenatore con la Benetton Treviso), ed è previsto l'arrivo di Alessandro Troncon per i trequarti, ex azzurro del gotha di Georges Coste. Doveva essere a capo di questo gruppo il gallese Rob Howley, ex assistent coach dei Dragoni, ma suo malgrado si è eliminato da solo finendo in una storia di scommesse alla vigilia dei mondiali.
Ora si dice di un neozelandese non dei più noti, ma di certo chiunque arriverà in fretta faticherà non poco a ottenere risultati con uno staff non scelto da lui. Forse la soluzione più pratica, persino più promettente, è quella di promuovere direttamente Smith a capo allenatore, lui uomo di campo lo è di sicuro.

Poi potrebbe finalmente quel da tempo vagheggiato Director of rugby (un direttore generale, insomma) da scegliere in base a titoli di studi, merito e curriculum. Gli stessi criteri che dovrebbero portare alla nomina di un ceo che risponda direttamente al presidente.
Sembra impossibile ma queste figure di alto profilo basate su riconosciute professionalità mancano da sempre nella seconda federazione più ricca d'Italia e che presto lo sarà ancora di più con la valanga di milioni, incassati senza versare una goccia di sudore e a discapito dei risultati della nazionale, in arrivo per la cessione a equity fund di quote del Sei Nazioni e del Pro 14 (il campionato europeo-sudafricano delle franchigie Zebre Parma e Benetton Treviso).

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