Lamorgese: «Il crimine è cambiato. E preoccupano le bande giovanili»

Lamorgese: «Il crimine è cambiato. E preoccupano le bande giovanili»
di Cristiana Mangani
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Sabato 16 Novembre 2019, 00:22 - Ultimo aggiornamento: 10:16

Il ferimento di Manuel Bortuzzo, l’omicidio di Luca Sacchi, librerie e locali dati alle fiamme: episodi che avvengono anche in pieno giorno e che coinvolgono chiunque si trovi nel raggio di azione dei criminali. 

Ministra Lamorgese, cosa sta succedendo a Roma?
«Roma è sottoposta a dinamiche presenti in tutte le grandi città europee e nordamericane accentuate, nel nostro caso, da un contesto davvero particolare. Un’area metropolitana con 121 comuni e cinque milioni di abitanti che equivale alla somma dei territori di Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Catania».

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Tra i cittadini si rileva un forte senso di insicurezza, quali le ragioni?
«Ci sono alcuni indicatori economici che non possono essere ignorati: l’Istat ci dice che i disoccupati sono 200 mila e che il 51% della popolazione residente ha un reddito inferiore ai 15 mila euro. Inoltre, si consolida una tendenza anagrafica che incide sulla percezione della sicurezza: il 22,5% per cento delle persone che vivono a Roma ha più di 65 anni e in quella condizione di età ci si sente comunque più deboli e più esposti ai pericoli».

Percezione a parte, di recente sembrano aumentate le aggressioni a mano armata: ci sono gruppi criminali che stanno tentando di conquistare territori?
«La Capitale, per le sue peculiarità, costituisce senza dubbio un fattore di attrazione per la criminalità che tenta in ogni modo di infiltrarsi nel tessuto economico-sociale con azioni a bassa visibilità, e per questo più subdole, di fronte alle quali lo Stato deve mettere in campo misure sempre più efficaci. Ne sono testimonianza le operazioni di polizia giudiziaria che hanno disarticolato organizzazioni criminali restituendo alle comunità territori, come quelli del litorale romano, su cui esponenti della malavita hanno tentato di imporre la propria egemonia».

In che modo lo Stato intende garantire la sicurezza? La sindaca Raggi ha chiesto l’intervento dell’esercito.
«La sicurezza è una partita che si gioca su livelli diversi e che richiede un approccio integrato delle istituzioni coinvolte. Nel Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica al quale ho partecipato, si è condivisa una strategia di potenziamento delle attività di controllo del territorio da parte delle forze di Polizia, cui si affianca l’azione delle amministrazioni locali per la prevenzione di quei fattori che incidono sulla percezione di sicurezza. A questo fine, l’importante e significativo contributo dell’esercito con l’operazione “Strade sicure” consente di liberare risorse delle forze di Polizia, destinandole all’attività di prevenzione e repressione dei reati».

È previsto l’arrivo di un maggior numero di uomini in servizio? 
«Partiamo da un dato consolidato: gli effettivi delle forze di Polizia dislocate a Roma sono 15 mila ai quali vanno aggiunti i 2 mila militari destinati a presidiare obiettivi sensibili. In questi anni c’è stata una consistente contrazione a causa del blocco del turn over che ha comportato anche l’innalzamento dell’età media dei nostri operatori sul territorio. A questa criticità abbiamo cominciato a porre rimedio con lo sblocco del turn over e l’assunzione di nuovo personale. Detto ciò, ritengo che quello su cui si deve appuntare la nostra attenzione sia soprattutto l’efficace impiego delle risorse attraverso una visione innovativa dei servizi di controllo che, con l’attivazione di “task force” dedicate, incrementerà la risposta dello Stato nelle aree più fragili di Roma».

Che tipo di criminalità si sta “agitando” nella Capitale?
«Il contesto criminale evidenziato anche dagli episodi di Manuel Bortuzzo e Luca Sacchi - oggetto giustamente di un grande risalto mediatico – evidenziano la presenza di bande giovanili, fuori da logiche criminali più strutturate, sulle quali bisogna intervenire con un approccio sinergico che veda il coinvolgimento anche delle istituzioni educative».

Zone come San Basilio, Tor Bella Monaca sembrano dominio assoluto degli spacciatori di droga.
«Purtroppo la diffusione dell’uso di sostanze stupefacenti riguarda sempre di più fasce di giovanissimi. È un fenomeno preoccupante che chiama in causa in primis le famiglie e il ruolo educativo della scuola».

Ormai lo spaccio è un po’ ovunque.
«Abbiamo predisposto una pianificazione di misure straordinarie ad alto impatto sulle grandi piazze di spaccio presenti sul territorio metropolitano, utile anche a rassicurare i cittadini attraverso la presenza visibile dello Stato nelle realtà più critiche».

Qual è la novità operativa? 
«Sono state individuate 28 aree cittadine più a rischio, 8 nei quartieri centrali e 20 nell’anello delle periferie, che verranno sottoposte a controllo dalla task force dedicata. A questi dispositivi parteciperà anche la polizia di “Roma Capitale” che avrà particolare cura nello svolgimento dei controlli amministrativi degli esercizi commerciali».

Aumenteranno “i pattuglioni”? 
«Il pattugliamento del territorio verrà programmato sulla base delle criticità segnalate dai cittadini e dopo una attenta analisi dei reati e dei fenomeni di illegalità nei vari municipi della città. Verrà aperta una seconda sezione del reparto volanti della Polizia di Stato nel quadrante Est della città, nel quartiere Prenestino». 

Quanto è importante il contributo degli enti locali?
«È una collaborazione fondamentale. Per fare un esempio, è indubbio che per combattere il crimine e i reati di strada anche a Roma serva più illuminazione notturna e l’installazione di un numero sempre maggiore di telecamere. Su questo tema lancerei una proposta: coinvolgere le associazioni di categoria dei commercianti per tenere accese anche di notte le vetrine e le insegne, sul modello efficacemente attuato in grandi città tedesche come Monaco».

Alla fine non posso sottrarmi dal farle una domanda sui migranti. Come procedono i rimpatri irregolari?
«Negli ultimi due mesi e mezzo il ministero dell’Interno si è attivato spendendo molte energie per intensificarli. Alla data del 14 novembre sono stati effettuati 5.940 rimpatri, di cui 1.304 dal 5 settembre, a fronte dei 5.395 dello stesso periodo del 2018. In particolare sono stati ricondotti in patria 1.543 cittadini tunisini, 1.259 albanesi e 834 marocchini».

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