Gianfranco Viesti
Gianfranco Viesti

Milano e Roma/ Lo sviluppo a scapito dell’altra parte d’Italia

di Gianfranco Viesti
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Martedì 12 Novembre 2019, 01:13
L’affondo del ministro per il Sud, Provenzano, e le reazioni del sindaco Sala, hanno attirato l’attenzione sul ruolo di Milano in Italia e sul suo sviluppo spesso a danno del resto del Paese. Non c’è dubbio: tutti gli italiani vedono che Milano funziona meglio; che la sua economia è più vivace; che attrae risorse, ed in particolare giovani creativi e qualificati. Che al suo interno si respira ottimismo, e orgoglio per quel che si fa: un’attitudine che tende a scarseggiare altrove. 
Questo dipende da una buona amministrazione e da un diffuso senso civico. Basti pensare all’efficienza del sistema dei trasporti, invidia di romani e napoletani: una rete metro estesa e in via di rilevante potenziamento; un sistema interconnesso, specie attraverso il passante ferroviario, con un territorio assai ampio, che consente di pendolare con tempi minori e servizi migliori. Ma non solo: Milano sta attivamente sperimentando forme alternative di mobilità, basate sulla sharing economy in molte delle sue declinazioni. L’indice del suo successo, in apparenza paradossale ma in realtà assai positivo, è la diminuzione del rapporto fra auto di proprietà e abitanti. L’amministrazione si muove molto sul piano delle attività economiche: coltiva talenti, promuove imprese. I risultati si vedono: Milano è ormai l’unica città italiana (insieme a Bologna) ad avere un saldo fortemente positivo dei giovani laureati residenti, nonostante ne partano anche da lì molti per l’estero.
L’economia non va male, come mostrano i dati che l’Istat fornisce sulla struttura produttiva e sulle dinamiche dell’occupazione. Buona amministrazione stimola consenso e partecipazione dei cittadini, che la rinforzano in un circolo virtuoso. 
Ma da questo a dire che basterebbe fare lo stesso per avere lo stesso risultato altrove c’è un abisso. Da una parte, essere al centro della parte d’Italia più forte aiuta enormemente, in un secolo in cui le economie urbane appaiono nettamente favorite da processi di concentrazione. La ricchezza del privato sostiene l’azione pubblica e collettiva (si pensi anche alle Fondazioni); livelli alti di occupazione e salari rendono più facili sperimentazioni e innovazioni che altrove faticano a concretizzarsi. Dall’altro, non poche scelte politiche pubbliche in questo secolo l’hanno favorita; assecondando, più che governando, le dinamiche dell’economia: il suo sistema universitario è premiato da regole distorte che lì sono state disegnate (a danno di quelli di tutto il Centro-Sud); il federalismo per i comuni continua a favorire quelli con maggiore capacità fiscale. Anche una storia in parte oscura, sulla quale sono sorti molti dubbi, quella dei terreni dell’Expo, è stata trasformata in un’occasione di successo: ma grazie alla decisione del tutto discrezionale di localizzare a Milano, e solo a Milano, il ricco Human Technopole, a spese di tutti gli italiani.
E questo ci porta al punto della disputa. La forza di Milano viene esclusivamente da se stessa e dalle sue capacità? In realtà, è forte anche e soprattutto perché è una grande città italiana. Che dalle risorse fiscali di tutti gli italiani ha tratto i suoi collegamenti ad alta velocità (che tanti altri non hanno); che dalle altre città attrae giovani formati con l’investimento – a volta pesante – di risorse familiari; che vende nel resto del Paese beni, e soprattutto servizi, per decine di miliardi. E quindi Milano dovrebbe avere tutto l’interesse affinché tutto il Paese cresca e che le poche risorse disponibili siano investite in tutti i territori per favorirne lo sviluppo. A divenire un nodo forte di una rete di città tutte forti.
Talvolta si ha l’impressione che non sia così. A cominciare dall’atteggiamento molto concreto oltre che simbolico nei confronti della Capitale, quella vera, che oggi ha perso centralità e attrattività anche per le scelte dissennate dei governi di vario ed opposto colore. Milano fa spesso guerra ai suoi vicini, ad una Torino indebolita ha tentato di sottrarre il Salone del Libro. Appare un po’ bulimica. Ad esempio, bene l’Olimpiade invernale in Italia: si capisce Cortina, si sarebbe capita Torino, ma Milano e i suoi dintorni non sono noti per gli sport invernali; doveva per forza candidarsi? Dopo l’Expo? Troppo silenti sono i suoi intellettuali e i suoi rappresentanti istituzionali ed economici sul disegno dell’autonomia regionale differenziata (la “secessione dei ricchi”), per quanto i milanesi abbiano largamente snobbato il referendum (solo 1 su 4 andò a votare). Cari milanesi, vi sembra giusto che un cittadino di una città o regione più ricca debba, solo per questo, avere più diritti a maggiori e migliori servizi pubblici dell’omologo in qualche altro meno fortunato punto del Paese? 
Così come totalmente silente è il suo sistema dell’università e della ricerca su 10 anni di politiche distorsive. Decrescente è l’attenzione per i destini delle aree interne del Paese, anche per il Nord periferico; anche per periferie milanesi in cui non mancano difficoltà e deprivazione.
Il timore è che lo sviluppo di Milano sia avvenuto spesso a danno del resto del Paese, e che fantastichi di se stessa come una città-stato largamente autonoma; e che il suo sviluppo sia avvenuto senza dare alcuna spinta al resto del Paese e perciò sia sempre meno interessata alle sorti collettive, alla necessità di rafforzarne di tutte le parti, in un’ottica di equità, di integrazione e di mutuo vantaggio. E non veda il rischio degli eccessi di un “sovranismo comunale”: quello di svegliarsi invece come un piccolo cantone svizzero, satellite della grande economia tedesca.
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