Attacco contro militari italiani in Iraq: 16 anni fa la strage di Nassiriya con 19 morti

Nassiriya, a 16 anni di distanza l'anniversario dell'attentato in cui morirono diciannove soldati italiani
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Domenica 10 Novembre 2019, 18:11

Esattamente sedici anni fa', alle ore 10:40 ora locale, le 08:40 in Italia, un camion cisterna pieno di esplosivo scoppiò davanti l'ingresso della base MSU (Multinational Specialized Unit) italiana dei Carabinieri a Nassiriya, capoluogo della regione irachena di Dhi Qar. L'esplosione fece a sua volta saltare in aria il deposito munizioni della base provocando la morte di diverse persone tra Carabinieri, militari e civili. Il carabiniere Andrea Filippa, di guardia all'ingresso della base "Maestrale", riuscì a uccidere i due attentatori suicidi, tant'è che il camion non esplose all'interno della caserma ma sul cancello di entrata, evitando così una strage di più ampie proporzioni. I primi soccorsi furono prestati dai Carabinieri stessi, dalla nuova polizia irachena e dai civili del luogo. Nell'esplosione rimase coinvolta anche la troupe del regista Stefano Rolla che si trovava sul luogo per girare uno sceneggiato sulla ricostruzione a Nassiriya da parte dei soldati italiani, nonché i militari dell'esercito italiano di scorta alla troupe che si erano fermati lì per una sosta logistica. 

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Il ricordo del generale Bruno Stano. Sono passati sedici anni dopo da quel terribile 12 novembre 2003, quando morirono 19 italiani in conseguenza dell'attentato più sanguinoso nella lunga catena di lutti che caratterizzò l'operazione
Antica Babilonia”​ in Iraq, ma il ricordo nelle parole del generale Bruno Stano, a quei tempi comandante del contingente italiano è ancora chiaro, preciso e vivo. «Ero arrivato da circa un mese e quella mattina avevo appena finito il command update ed ero rimasto a parlare con il cappellano, padre Mariano - racconta Stano all'Adnkronos - Eravamo a quindici chilometri dalla base italiana Maestrale, quando abbiamo sentito l'esplosione: il boato e poi una colonna di fumo. Ci siamo guardati scioccati. Abbiamo subito capito che si trattava di un attacco terroristico e quanto fosse grave. Il tempo di arrivare in sala operativa e fu subito chiaro quale dramma stavamo vivendo. A poco a poco il quadro si completava con il numero dei morti e dei feriti, ad ogni aggiornamento, c'era da sentirsi male».

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La voce diventa un pò tremula, l'emozione si nota anche se «il comandante non può piangere, deve essere forte per i suoi ragazzi», dice l'ufficiale continuando a raccontare quei momenti: «Fu un colpo per me e per i miei ragazzi». Fu una strage. Un camion cisterna pieno di esplosivo scoppiò davanti l'ingresso della base MSU (Multinational Specialized Unit) italiana dei Carabinieri, provocando l'esplosione del deposito munizioni della base. Morirono 12 militari dell'Arma, cinque militari dell'Esercito, due civili, 9 iracheni. I feriti italiani furono 18. «Pochi minuti ed eravamo tutti operativi. I ragazzi furono straordinari. Nessuno si tirò indietro. Nonostante il grave momento, lo scenario che avevamo davanti, nessuno si fece prendere dalla paura, nessuna debolezza. Montarono di guardia i soldati, i carabinieri erano molto scossi. Nessuno lasciò il contingente per tornare a casa - prosegue il generale Stano - anche se il dolore era immenso. Rimanemmo tutti uniti, compatti. Bisognava continuare il lavoro, in quel momento più di prima. E ancora sono rimasti legati, affezionati, solidali».

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Ora, dopo «sedici anni di vicende giudiziarie, un rammarico dovremmo averlo tutti: la missione in Iraq non era come le altre, non eravamo preparati adeguatamente. Era la prima volta che l'Esercito affrontava una situazione così pericolosa, ben diversa dalle precedenti missioni portate a termine a Sarajevo o in Kosovo. Li c'era Al Qaida. Probabilmente lo sottovalutammo», riflette il generale Stano, unico comandante della missione ad essere condannato dalla Cassazione al risarcimento delle famiglie delle vittime di quella tragedia. Anni difficili ma «sono andato avanti perché sapevo quello che era successo e non quello che è stato raccontato», conclude Stano.

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