Delitto Mollicone, la difesa dei Mottola: «Serena non è stata uccisa in caserma»

Delitto Mollicone, la difesa dei Mottola: «Serena non è stata uccisa in caserma»
di Vincenzo Caramadre
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Domenica 10 Novembre 2019, 16:38
Da otto anni sono i principali indiziati dell'omicidio di Serena Mollicone, ma per tutto questo tempo hanno preferito tacere. Ieri, a quattro giorni dall'apertura dell'udienza preliminare che ci sarà mercoledì prossimo dinanzi al Gip del Tribunale di Cassino, la difesa dell'ex maresciallo Mottola, di sua moglie Annamaria e di suo figlio Marco ha rotto il silenzio organizzando un incontro con la stampa.
Per l'occasione era presente anche lui, Franco Mottola, l'ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, all'epoca dell'omicidio. Per un'ora e mezza, il tempo della conferenza stampa, è rimasto in silenzio, seduto accanto ai cronisti. Nessuna dichiarazione, nessun commento.
Per lui e i suoi familiari hanno parlato l'avvocato Francesco Germani e il criminologo Carmelo Lavorino, secondo i quali non c'è stata alcuna svolta nel giallo lungo 19 anni, ma più semplicemente si tratta di «una tesi diventata indagine».
La tesi sarebbe quella secondo cui Serena è stata uccisa nella caserma dell'Arma di Arce. No, le cose non stanno così. Serena, diversamente da quanto sostiene la Procura, non avrebbe mai sbattuto la testa contro la porta dell'alloggio in uso alla famiglia Mottola.
«La porta - ha detto il criminologo Lavorino - non è l'arma del delitto perché Serena era alta, da terra, un metro 155, il segno di rottura sulla porta è a un metro 154 centimetri mentre la ferita sull'arcata sopraccigliare di Serena è a metro 146 da terra».
Una differenza di 9 centimetri che, secondo la difesa dei Mottola, confuterebbe uno dei pilastri della tesi accusatoria. E quindi come sarebbe stata uccisa Serena? Secondo Lavorino l'arma del delitto sarebbe un bastone.

IL BRIGADIERE SUICIDA
Poi ci sono le testimonianze di Santino Tuzi, il brigadiere morto suicida nel 2008 che per la prima volta indicò la presenza di Serena in caserma nel giorno della sua scomparsa, il 1 giugno 2001. La difesa mette in discussione la veridicità delle sue dichiarazioni.
«Tuzi - ha ricordato Lavorino - viene sentito per la prima volta in Procura il 29 marzo 2008, dopo 2 giorni si è recato in Procura per ritrattare, ma è stato ascoltato solo l'8 aprile 2008. In quest'ultima occasione, stando alle trascrizioni, ha subito a nostro parere delle pressioni psicologiche. Su questo aspetto ancora attendiamo, da parte della Procura, la consegna dei dvd nei quale c'è la registrazione delle dichiarazioni e l'intero interrogatorio reso da Tuzi. Intendiamo valutarlo».

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DUE SOSPETTATI
Ma, quindi, chi avrebbe ucciso Serena? «Temiamo che non ci sarà giustizia per Serena - ha detto il criminologo -. Le indagini, viziate da una premessa investigava, non porteranno da nessuna parte. Abbiamo indicato alla Procura i nominativi di due persone, alle quali prelevare le impronte digitali, ma non è stato fatto.
Il criminologo ha puntato il dito anche contro la contaminazione delle prove: «Sotto il nastro adesivo utilizzato per bloccare il corpo di Serena il dottor Novelli, nel corso indagini risalenti al 2012-2014, isolò un dna, ma poi si è scoperto che appartiene a un ufficiale dei carabiniere».

NESSUNA TRACCIA SCIENTIFICA
Ma perché convocare una conferenza stampa a quattro giorni dall'udienza preliminare? «L'incontro - ha spiegato l'avvocato Germani - ha riguardato solo aspetti scientifici e tecnici. Ritengo che quelli giuridici vadano affrontati in Tribunale, per rispetto del magistrato non parlerà della linea di difesa. Posso solo dire che la prova dell'innocenza della famiglia Mottola è nei 18 faldoni delle indagini. Negli ambienti dove si ritiene sia avvenuta la morte di Serena non c'è traccia di dna o impronte della famiglia Motttola».
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