Moby, altolà del collegio sindacale: un piano taglia-debiti o sarà deriva

Moby, altolà del collegio sindacale: un piano taglia-debiti o sarà deriva
di Rosario Dimito
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Martedì 5 Novembre 2019, 11:00 - Ultimo aggiornamento: 13:24
Moby Lines al bivio: risanamento ex art. 67 oppure accordo di ristrutturazione con i creditori ex art. 182 bis legge fallimentare. Incalzato dal Tribunale di Milano che nel decreto del 3 ottobre con cui ha respinto l'istanza di fallimento dei bondholders, lo ha richiamato ai suoi doveri, venerdì scorso durante un cda straordinario del gruppo armatoriale il collegio sindacale presieduto da Raffaele D'Alessio avrebbe puntato i piedi. Non c'è più tempo per ulteriori indugi e in tempi brevi il gruppo presieduto da Vincenzo Onorato, come ha sancito il decreto del tribunale, deve attivarsi per «l'adozione o l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale» perché «la situazione di crisi è evidente». Così, in un gioco di sponda, i sindaci hanno messo a verbale la necessità che Onorato scelga fra una procedura light e una più invasiva. La prima è l'art. 67 codice civile che è un accordo privato banche-creditori; l'altra è il 182 bis legge fallimentare e coinvolge il tribunale fallimentare al quale dare conto. I sindaci vogliono sia predisposto un aggiornamento al business plan 2019-2021 e sia nominato, con il loro coinvolgimento, un esperto per attestare il piano di risanamento.

D'altro canto che il gruppo Moby non se la passi bene nonostante abbia scavalcato la trappola del fallimento, lo dimostra il fatto che il 30 ottobre, giorno in cui Unicredit ha respinto le accuse di Moby relative alla mancata concessione del waiver sull'ipoteca gravante sulle due navi da vendere, il gruppo dei traghetti, assistito dall'avvocato Giuseppe Lombardi, ha chiesto un altro waiver a Gae Aulenti, capofila del pool residuo di 160 milioni. La rinuncia si riferisce al rispetto dei covenant, cioè parametri debito/ebitda inferiori a 4 volte, posticipando la verifica del 31 dicembre al 31 gennaio 2020 contabilizzandone gli effetti al 30 giugno 2019. Secondo il contratto di finanziamento, i proventi da cessioni di asset fra il 30 giugno e il 31 ottobre impattano sui coefficienti a giugno e le plusvalenze maturate consentono alle banche un rimborso pro quota della linea di credito articolata in due tranche: 100 milioni di term loan, 60 milioni di revolving credit facility.

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Il fronte delle banche non sarebbe allineato. Al pool partito a febbraio 2016 con 260 milioni, partecipano Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm, Mps, Goldman Sachs. Ma nei giorni scorsi, nel corso di colloqui fra Unicredit, Intesa e Banco Bpm, quest'ultimo si sarebbe smarcato, probabilmente perché il gruppo di Piazza Meda contabilizza ancora in bonis il credito, mentre le altre due lo hanno già classificato come unlikely to pay, cioè incaglio. Tutte le decisioni vanno prese con una maggioranza qualificata del 66% dei crediti. E questo quorum è stato rispettato, sicché a fine ottobre Unicredit ha respinto la richiesta di waiver sull'ipoteca di due navi. L'istituto ha chiesto chiarimenti «considerando che il prezzo di vendita (a Dfds, ndr) delle navi era di 137 milioni, mentre il valore di quelle navi evidenziato nel piano 2018 era di 190 milioni mentre la recentissima perizia Brax evidenziava un valore di 157 milioni)» si legge nella lettera invata dal gruppo bancario, che «agisce quale mandatario sia delle banche sia degli obbligazionisti di 300 milioni».
 
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