Riccardo De Palo
Lampi
di Riccardo De Palo

Incontro con David Szalay: «Io, "Turbolenza" e la paura di volare»

David Szalay
di Riccardo De Palo
4 Minuti di Lettura
Sabato 2 Novembre 2019, 20:01
Turbolenza ricorda Babel di Alejandro González Iñárritu: allo stesso modo del film del 2006 che vinse a Cannes il premio per la miglior regia, il nuovo libro di David Szalay è un collage di storie; e i segreti collegamenti delle vite dei suoi protagonisti si scoprono a poco a poco. Ognuno dei dodici capitoli - intitolato a una rotta da un aeroporto all'altro - contiene un io narrante diverso, che passa il testimone al personaggio successivo, il quale a sua volta svela dettagli insospettati del precedente. 
Nessuno era più adatto di Szalay per scrivere un libro del genere: un autore nato a Montreal nel 1974 da madre canadese e padre ungherese, l'infanzia trascorsa in Libano, la giovinezza a Londra, oggi astro nascente della letteratura inglese (Il suo Tutto quello che è un uomo è stato a un passo dal soffiare il Man Booker Prize a Paul Beatty tre anni fa).

«Bisogna ricordare - dice, con aria impettita, l'eloquio da globetrotter istruito e l'accento moderatamente british - che si tratta di un lavoro originariamente commissionato dalla Bbc per la radio: la richiesta era di scrivere dodici storie, ciascuna per uno slot radiofonico di quindici minuti. Volevano che ogni storia fosse compiuta e indipendente, ma anche che la serie funzionasse nell'insieme».

Anche nel suo libro precedente c'era un meccanismo simile; e forse, ammette, una delle ragioni per cui glielo hanno commissionato era proprio questa: «In Tutto quello che è un uomo c'erano storie indipendenti, ma connesse tra loro. Sapevo che dalla trasmissione sarebbe nato un libro, così ho cercato di fare qualcosa che funzionasse sia sulla carta che alla radio».

In Turbolenza, seguendo un personaggio, si scoprono i dettagli di un altro: «Il lettore si può creare un quadro completo dei personaggi solo mettendo insieme informazioni limitate, ottenute ogni volta da un punto di vista diverso». Ma, quando cambia la prospettiva, il quadro si trasforma completamente. «L'ho fatto di proposito - ammette l'autore - per ottenere un effetto di grande contrasto. Ho cercato di fare delle limitazioni una virtù: fai appena in tempo a vedere un personaggio, che questo sparisce».

Nel primo racconto c'è una donna terrorizzata dall'aereo. «Anch'io ho paura di volare - ammette Szalay - ed è strano perché ho viaggiato molto, sin da quando ero giovanissimo. Mio padre lavorava per un'azienda canadese che lo aveva trasferito a Beirut, e quindi si tornava spesso in Quebec per le feste. Non avevo timori di prendere l'aereo, da bambino. La prima volta che provai qualcosa di simile fu attorno ai vent'anni: non ero proprio terrorizzato, ma quando dovevo partire provavo ansia, nervosismo. Evitai di volare per un po', poi vidi un programma in tv, Black Box, che parlava di disastri aerei, e ne fui attratto irresistibilmente». Stephen King ha appena pubblicato un'antologia di racconti dedicati proprio a questo tema, (Odio volare, Sperling & Kupfer); e la coincidenza diverte molto l'autore canadese: «La mia è... come dire? Strategia di adattamento. Viaggio molto, ma non mi piacciono le turbolenze: è totalmente irrazionale, perché, per quanto ne so, nessun aereo è mai precipitato in una situazione del genere». 

Gli episodi raccontano in modo originale il nostro mondo interconnesso e multiculturale; e Szalay ammette di aver voluto proprio «ritrarre il fenomeno della globalizzazione, ma visto dal basso, dalla gente». Questo perché «si legge molto, ma sempre in maniera astratta, di questo tema, che invece è fatto di realtà concreta, di persone che vivono la propria vita».

Si direbbe che più siamo interconnessi, e più abbiamo paura degli altri; e anche questo «è un fenomeno irrazionale»: «Ci ritroviamo sempre più spesso con perfetti sconosciuti; e dobbiamo produrre diversi modi di rapportarci con gli altri. Questi brevi incontri, queste collisioni improvvise, sono una caratteristica ineludibile della nostra vita di oggi». 

Adesso Szalay vive tra Londra e Budapest; ma non è molto contento della situazione politica: «La democrazia ha bisogno della presenza di un'opposizione credibile, che invece in Ungheria è frammentata, incapace di competere con il partito Fidesz del premier Viktor Orbán. Mi ricorda molto il modo in cui Boris Johnson sta guidando il partito conservatore. La strategia è simile: unificare la destra e dividere la sinistra».

Ora, però, basta frammentazione: «Il libro che sto scrivendo è diviso in sole tre parti, e non narrativamente connesse».
© RIPRODUZIONE RISERVATA