Pensioni, micro rivalutazioni da 3 euro: ma dal 2011 persi quasi 1.500 euro l’anno

Pensioni, micro rivalutazioni da 3 euro: ma dal 2011 persi quasi 1.500 euro l’anno
di Michele Di Branco
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Sabato 2 Novembre 2019, 00:41 - Ultimo aggiornamento: 11:12

ROMA «Meno di una elemosina». La mini rivalutazione per i redditi da pensione tra i 1.522 e i 2.029 euro lordi al mese (tra le tre e le quattro volte il trattamento minimo) manda su tutte le furie sindacati che reclamano molti più soldi. Il prossimo anno si recupererà il 100% dell’aumento dei prezzi a fronte del 97% attuale ma questo passaggio equivale, in termini di trattamenti, ad appena tre euro l’anno in più (25 centesimi al mese) per circa 2,8 milioni di pensionati, mentre nulla cambia per coloro che hanno assegni pensionistici superiori a 2.029 euro lordi al mese. 

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Insomma il governo, dopo ben 8 anni, ha finalmente tolto il freno a mano alla macchina dell’indicizzazione all’inflazione. Ma la marcia, nei prossimi mesi, sarà lentissima e di certo non riuscirà neppure lontanamente a risarcire i soldi perduti a partire dal 2011, quando l’esecutivo Monti mise a dieta i pensionati. Ben due interventi e una proroga hanno prodotto danni piuttosto considerevoli alle tasche: 44 miliardi di euro complessivi e la Uil calcola che la mancata rivalutazione infatti ammonterebbe, per il periodo tra il 2011 e il 2018, a 79 euro al mese, all’interno di una pensione di 1.500 euro lordi. 

LO STUDIO
Spalmati su 12 mesi, diventano mille euro ogni anno, una perdita pari quasi ad una mensilità, circa il 5,32% del trattamento pensionistico. 
Se poi si tiene conto anche del blocco, per il 2019, stabilito dal Governo Conte uno, c’è stata un’altra perdita di 94,62 euro ogni mese, corrispondente a 1.230 euro all’anno. La scorsa legge di bilancio, infatti, ha introdotto un nuovo taglio della perequazione rispetto all’inflazione per le pensioni superiori a tre volte il minimo (1.522 euro lordi al mese), per il triennio 2019-2021, riconoscendo una rivalutazione piena solo per gli assegni fino a tre volte il minimo, a scalare per quelli superiori (da un aumento pari al 97% dell’inflazione per gli assegni tra 3 e 4 volte il minimo, al 40% per quelli oltre le 9 volte). Qualche esempio specifico può aiutare a comprendere l’enorme sacrificio chiesto ai pensionati negli ultimi 8 anni. Per pensionato che ha un trattamento di poco superiore al primo step, di 1.568 euro lordi mensili, il mancato adeguamento all’andamento dei prezzi ha comportato una perdita pari a circa 960 euro lordi annui, secondo lo studio della Uil. 
Perdita che sale a 1.490 euro lordi annui, per chi ha un assegno di circa 1.960 euro lordi mensili (tra 4 e 5 volte il minimo). Fasce nella quale, peraltro, rientra la maggioranza dei pensionati. La differenza sul cedolino aumenta con l’aumentare degli importi, fino ad arrivare ai 7.190 euro lordi annui per chi ha un assegno pari a 4.560 euro lordi mensili (oltre 9 volte il minimo). Occorre ricordare che la nuova bozza della manovra 2020 conferma, per il periodo 2020-2021, la una rivalutazione al 77% per gli assegni tra 2.029 e 2.538 euro al mese, del 52% per gli assegni tra 2.537 e 3.046 euro al mese, del 47% per gli assegni tra 3.046 e 4.061 euro al mese, del 45% per gli assegni tra 4.061 e 4.569 euro al mese, del 40% per gli assegni oltre 4.569 euro al mese. Dal 2022 la rivalutazione sarà del 90% per gli assegni tra 2.029 e 2.538 euro al mese e del 75% per tutti gli assegni oltre i 2.538 euro.

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