Riccardo De Palo
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di Riccardo De Palo

André Aciman e il sequel di "Chiamami col tuo nome": «Vi racconto Elio e Oliver, vent'anni dopo»

Aciman in una foto di Sigrid Estrada
di Riccardo De Palo
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Sabato 26 Ottobre 2019, 15:36 - Ultimo aggiornamento: 15:38
Ci voleva uno come André Aciman, apolide per definizione, per raccontare l'amore senza badare a etichette (anche sessuali) dei suoi protagonisti. Nato nell'atmosfera cosmopolita di Alessandria d'Egitto nel 1951, origini turco-sefardite, madrelingua francese, riparato dapprima in Italia dopo l'avvento di Nasser, poi in Francia e infine negli Stati Uniti, dove oggi è uno stimato professore di letteratura comparata alla City University di New York, Aciman è riuscito ancora una volta a scrivere di amore in maniera originale ed evitando i luoghi comuni. «Non mi è mai piaciuto - dice al telefono in perfetto italiano da Manhattan - l'amore per una bandiera. La stessa cosa vale per la religione, la sessualità. L'amore non è un sentimento che si può definire con una parola». Tredici anni dopo Chiamami col tuo nome, diventato un fortunato film di Luca Gudagnino, arriva l'atteso seguito, Cercami, da lunedì nelle librerie, che svela il seguito della storia di Elio e Oliver, vent'anni dopo.

I riferimenti letterari sono sempre quelli, altissimi, della narrativa classica francese: «Sono sempre stato molto influenzato da scrittori come Marcel Proust, Benjamin Constant, Stendhal, Madame de La Fayette, da quei libri in cui la trama è esigua (o non esiste affatto)».

Quattro capitoli divisi in quattro città, Roma, Parigi, New York e poi Alessandria. Come è nato questo romanzo?
«L'ho capito scrivendo, che era il seguito di Chiamami col tuo nome. Samuel ha una relazione con una ragazza, e poi arriva Elio, che gli dà quasi lo stesso consiglio che aveva ricevuto proprio da lui, tanti anni prima: adesso riesco a vederti non come un padre ma come un uomo innamorato».

In questa prima parte, Roma è la vera protagonista.
«Io l'adoro, Roma».

Bisogna evitare di vivere in un luogo, per amarlo?
«Forse. Vorrei tanto restare a Roma per sei mesi di seguito per capirlo».

Ma anche lei, come Samuel, torna sempre negli stessi posti?
«Sempre. Sono le mie veglie, come le chiamo nel libro: quando arrivo in una città torno a vedere i posti dove è successo qualcosa, o forse niente».

E cosa cerca?
«Siamo esseri umani molto complessi, pieni di contraddizioni. Ma, allo stesso tempo, il desiderio è una cosa semplicissima. A Roma la prima cosa che cerco è il supplì di Roscioli; poi il caffé di Sant'Eustachio. Se non sei capace di dire: io adoro una cosa e la voglio mangiare, diventi un po' sterile, come Henry James».

Lei è stato nella Capitale da adolescente, come profugo.
«Esatto, e venivo proprio di fronte al Messaggero a leggere le notizie sulla bacheca, perché non potevo permettermi di comprare il giornale: lo vedo come se fosse ora».

Cosa ricorda con più piacere?
«Il primo anno ho odiato Roma, perché era un mondo completamente diverso. Mi rinchiudevo in casa a leggere. C'erano molte librerie, allora, che vendevano romanzi inglesi o francesi, e per arrivarci bisognava camminare molto in quella Roma storica, barocca. A un certo punto mi sono reso conto che non solo amavo la città, ma temevo di perderla».

Nel suo libro ci sono due personaggi che hanno nomi di protagonisti della "Tempesta" di Shakespeare, Miranda e Ariel: come mai?
«Sono molto contento che se ne sia accorto; in realtà ho scritto di recente una novella, con una protagonista con quel nome, che diventerà un audiolibro. Il personaggio di Miranda è ispirato a una ragazza incontrata casualmente in treno: è l'inizio del romanzo».

Miranda dice che «non è il tempo ad essere sbagliato per noi e nemmeno noi per il tempo. Forse è la vita ad essere sbagliata». Lo pensa anche lei?
«Sì, in fondo la morte è un gravissimo errore. Quando si pensa al tempo, si evoca sempre la morte, anche se non lo diciamo».

A lei interessa soprattutto l'amore allo stato nascente, è così?
«Sì perché è sempre tutto così rapido, quando si incontra una persona da cui ci si sente attratti fisicamente... (si sente uno squillo, ndr) Oh, mi scusi rispondo al telefono. Hallo I have an interview with Rome... Mi scusi è mia moglie, mi dice che c'è un bellissimo articolo su Time magazine sul mio libro. Abbiamo perso il filo, mi scusi»

Parlavamo dell'amore allo stato nascente.
«Sì, i momenti più belli sono sempre all'inizio, quando capiamo che l'altra persona ricambia i nostri sentimenti. Quando si prendono (o si rifiuta di prendere) decisioni molto importanti».

C'è anche un altro tema interessante nel suo libro, la musica.
«In tutti i miei libri, la musica (specialmente la classica) è un modo per esprimere ciò che va oltre le parole. Un modo di dialogare con Dio».

A che punto è il progetto di girare un sequel?
«Un anno e mezzo fa tutti erano pronti ad abbandonare qualsiasi cosa stessero facendo per girarlo; adesso, invece, silenzio totale».

Sono dunque le storie non compiute o non vissute, quelle che ci ricordiamo di più?
«Faccio sempre la differenza tra rimorso e rimpianto. Il rimpianto contiene un universo di possibilità».
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