Mondo di mezzo, in Appello per i giudici fu «Associazione a delinquere di stampo mafioso»

Mondo di mezzo, in Appello per i giudici fu «Associazione a delinquere di stampo mafioso»
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Martedì 22 Ottobre 2019, 20:21 - Ultimo aggiornamento: 20:23
«Associazione a delinquere di stampo mafioso». Per i giudici d'appello quella del Mondo di Mezzo è «mafia». La terza Corte d'Appello di Roma ribalta con la sentenza dell'11 settembre 2018 il verdetto del primo grado riconoscendo quel reato. Accusa che era caduta nel verdetto di primo grado del luglio 2017 che sosteneva l'esistenza di due associazioni a delinquere «semplici» ai cui vertici c'erano Massimo Carminati e Salvatore Buzzi. È la rivincita della procura di Pignatone. Per l'ex terrorista dei Nar Massimo Carminati e il ras delle coop romane, Salvatore Buzzi, fra i 43 imputati al processo sul Mondo di Mezzo, le pene in Appello vengono ridotte. I due vengono condannati rispettivamente a 14 anni e mezzo e a 18 anni e 4 mesi dalla terza Corte d'Appello di Roma, presieduta da Claudio Tortora. Il pg aveva chiesto una condanna a 26 anni e mezzo per l'ex Nar e 25 anni e 9 mesi per Buzzi, condannati in primo grado rispettivamente a 20 e a 19 anni.

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Con Buzzi e Carminati, i reati di mafia vengono riconosciuti per altri 16, tra i quali Luca Gramazio e Franco Panzironi. I giudici riconoscono l'associazione a delinquere di stampo mafioso, l'aggravante mafiosa o il concorso esterno, a vario titolo, anche per Claudio Bolla condannato a 4 anni e 5 mesi, Riccardo Brugia 11 anni e 4 mesi, Emanuela Bugitti 3 anni e 8 mesi, Claudio Caldarelli 9 anni e 4 mesi, Matteo Calvio 10 anni e 4 mesi. Condannati, tra gli altri, anche Paolo Di Ninno 6 anni e 3 mesi, Agostino Gaglianone 4 anni e 10 mesi, Alessandra Garrone 6 anni e 6 mesi, Luca Gramazio 8 anni e 8 mesi, Carlo Maria Guaranì 4 anni e 10 mesi, Giovanni Lacopo 5 anni e 4 mesi (poi deceduto), Roberto Lacopo 8 anni, Michele Nacamulli 3 anni e 11 mesi, Franco Panzironi 8 anni e 7 mesi, Carlo Pucci 7 anni e 8 mesi e Fabrizio Franco Testa 9 anni e 4 mesi, Mirko Coratti 4 anni e 6 mesi, Andrea Tassone 5 anni. Assolti, invece, Stefano Bravo, Pierina Chiaravalle, Giuseppe Ietto, Sergio Menichelli e Daniele Pulcini, con la formula «per non aver commesso il fatto».
Assolta «perchè il fatto non costituisce reato» anche Nadia Cerrito, contabile della Coop 29 giugno. Confermata l'assoluzione per Rocco Ruotolo e Salvatore Ruggiero. «Abbiamo sempre detto che le sentenze vanno rispettate. Lo abbiamo fatto in primo grado e lo faremo anche adesso - aveva detto commentando il verdetto d'Appello il procuratore aggiunto Giuseppe Cascini, in aula assieme al pm Luca Tescaroli in applicazione ai sostituti procuratori generali Antonio Sensale e Pietro Catalani - La corte d'appello ha deciso che l'associazione criminale che avevamo portato in giudizio era di stampo mafioso e utilizzava il metodo mafioso. Era una questione di diritto che evidentemente i giudici hanno ritenuto fondata».
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Di opinione opposta le difese degli imputati. «Quanto accaduto è grave, è un fatto assolutamente stigmatizzabile l'aver riconosciuto la mafia. È una bruttissima pagina per la giustizia del nostro Paese», aveva sottolineato il difensore di Salvatore Buzzi, Alessandro Diddi, parlando al termine della sentenza d'appello.
Nelle quasi 600 pagine depositate dai giudici dalla terza Corte d'Appello di Roma per motivare la sentenza su Mafia Capitale, si legge che «elementi di fatto a conferma del carattere mafioso dell'associazione possono trarsi anche dalla protezione garantita ad imprenditori e dal successivo inserimento nella loro attività con un rapporto caratterizzato dalla gestione di affari in comune». «Ai fini della sussistenza del delitto di associazione mafiosa - scrivono ancora i giudici - non è rilevante né il numero modesto delle vittime (che il tribunale ha indicato nel numero di 11) né il limitato contesto relazionale e territoriale. Non può escludersi il carattere mafioso della nuova associazione perché non sono elementi costitutivi di tale elemento né il controllo generale del territorio né una generalizzata condizione di assoggettamento e omertà della collettività. Nella associazione Carminati conferì la sua forza di intimidazione e Buzzi conferì l'organizzazione delle cooperative e il collaudato sistema di corruttela e prevaricazione». 
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