Discriminate o licenziate: sempre più mamme restano senza lavoro

Discriminate, messe da parte o licenziate: sempre più mamme restano senza lavoro
di Maria Lombardi
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Sabato 19 Ottobre 2019, 11:45 - Ultimo aggiornamento: 1 Marzo, 01:46

Studiano molto e lavorano poco, solo una su due. Sono prepagate ma guadagnano il 15 per cento in meno. Faticano due volte per essere considerate la metà. E quando diventano madri spesso perdono in un attimo tutto quello che hanno conquistato. Solo in Lombardia lo scorso anno 10mila donne al ritorno dalla maternità sono state messe ai margini e costrette a lasciate: mobbing, demansionamento, discriminazioni. Circa 49mila in Italia, sempre nel 2018, secondo i dati dell'Ispettorato del lavoro. Di qualche giorno fa la denuncia di una dipendente di una piccola azienda lombarda minacciata: «Non dovevi fare un altro figlio, ora ti al lavoro faranno morire». Ecco che le percentuali sul lavoro femminile crollano: il 55 per cento delle madri occupate rispetto al 83,3% dei padri. E nel nostro paese cresce il gender gap, siamo al penultimo posto in Europa: nel 2018 è stato del 28,1 contro il 18,1 della Germania, il 17,1 della Spagna e il 14,5 della Francia.

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Insomma, «Meno occupate e meno pagate», il titolo dell'incontro promosso da #InclusioneDonna per presentare alle istituzioni un programma di 10 punti e dire basta alle discriminazioni nel mondo del lavoro, delle professioni e delle imprese. Per la prima volta si sono riunite a Roma le 50 associazioni del network di cui fanno parte 40mila donne, professioniste, impiegate, imprenditrici dal nord al sud. E si sono confrontate con le rappresentanti delle istituzioni presenti all'incontro: la sottosegretaria al ministero dello Sviluppo Economico Alessandra Todde (M5S), Francesca Ballacci delegata dalla ministra per le Pari opportunità, l'onorevole Marina Berlinghieri (pd), la Senatrice Annamaria Parente (Italia Viva) e il senatore William De Vecchis (Lega). Dati sconfortanti. Si studia tanto e si lavora ancora troppo poco. Per ogni 100 ragazzi iscritti al triennio universitario, 140 sono le donne, contro una media mondiale di 93 (Global Gender Report). Ma le proporzioni si ribaltano al momento dell'ingresso nel mondo del lavoro dove, nella fascia d'età 20-64 anni, le donne rappresentano il 51,6%, a confronto del 71,7% degli uomini. «Ancor prima di entrare nel mondo del lavoro le donne si trovano svantaggiate rispetto ai coetanei», commenta Anna Benini, presidente di Professional Women's Network Rome. «Nonostante le ragazze siano più istruite, si laureino prima e con voti più alti, non trovano lavoro e questo è principalmente dovuto a due ragioni: la scelta di percorsi accademici con poco sbocco sul mercato e la questione maternità».




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 A 5 anni dalla laurea sono occupate l'83% delle donne, a fronte dell'88% degli uomini, con uno stipendio in media di 1.263 euro, mentre quello degli uomini è di 1.508 euro per gli uomini. Anche i contratti sono diversi: quello a tempo indeterminato, ad esempio, riguarda solo il 55% delle donne e ben il 61% degli uomini. Poi il crollo. «Le ragioni per cui le donne hanno più probabilità di abbandonare il proprio posto di lavoro, una volta diventate madri - sostiene Laura Dell'Aquila, Presidente Lean in Italy - risiede principalmente nel fatto che in famiglia si tende a fare a meno dello stipendio più basso». Ecco alcune delle proposte di #InclusioneDonna: sostegno al reddito delle madri lavoratrici e alla famiglia, aumento del congedo di paternità obbligatorio, adeguamento di quello parentale, secondo le direttive comunitarie, e istituzione della commissione parlamentare permanente per le pari opportunità. In più le 50 associazioni chiedono alle istituzioni misure per favorire l'imprenditoria femminile anche con nuove forme di incentivi per l'accesso al credito e al mercato delle agevolazioni fiscali. 

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