Schwazer, è svolta sull'ipotesi complotto

Schwazer, è svolta sull'ipotesi complotto
di Romolo Buffoni e Giuseppe Scarpa
3 Minuti di Lettura
Giovedì 17 Ottobre 2019, 09:30
Alex Schwazer si rimette in marcia. Non lui, ormai 34enne ed ex atleta, ma il caso relativo alla sua squalifica per doping. Ieri il gip di Bolzano titolare del procedimento penale a carico dell’ex atleta, ha disposto un ulteriore supplemento di perizia. Il giudice Walter Pelino nell’ordinanza, ai fini dell’incidente probatorio, chiede alla Fidal e alla Wada (convenute come parti lese assieme alla Iaaf) di produrre 50 campioni di urina di atleti uomini volontari «che pratichino attività agonistica in discipline quali la maratona, la marcia o simili, al fine di verificare se l’anomala concentrazione del Dna riscontrata nel campione prelevato a Schwazer l’1/01/2016 possa essere dipesa dall’enorme sforzo fisico praticato dal marciatore». I 50 campioni anonimi richiesti alla Wada (l’agenzia mondiale antidoping), invece, devono riguardare «altrettanti soggetti risultati positivi al testosterone esogeno, provvedendo ad indicare la data del prelievo e la quantità di urina prelevata». Una richiesta singolare che, per l’avvocato Giorgio De Arcangelis che rappresenta la Fidal (Stefano Borrella e Guido Carlo Alleva del Foro di Milano rappresentano rispettivamente Wada e Iaaf) «non fa altro che confermare il dubbio del giudice circa la colpevolezza di Schwazer, il che da solo basterebbe per assolverlo».

LA VICENDA
I dubbi sono gli stessi, che questo caso si trascina fin dal giorno in cui esplose e che spinsero Sandro Donati, figura riconosciuta come di spicco nella lotta al doping, all’epoca dei fatti allenatore di Schwazer, a parlare di «complotto» ordito per smontare il programma di lavoro dell’atleta che con le sue prestazioni stava dimostrando di poter vincere in una disciplina dura come la 50 km di marcia senza l’ausilio di sostanze dopanti. Schwazer venne trovato positivo in due occasioni. La prima volta accadde alla vigilia delle Olimpiadi di Londra 2012 e il marciatore (oro ai Giochi di Pechino 2008 e portacolori dei Carabinieri), in lacrime, ammise l’uso di Epo: «Volevo essere più forte a Londra, ho fatto tutto da solo. Ho sbagliato. La mia carriera è finita». Al rientro, seguito da Donati, vinse la 50 km a squadre nel Mondiale del 2016 disputato a Roma, con conseguente qualificazione ai Giochi di Rio 2016. Ma in Brasile Alex non ci andò mai, perché il 22 giugno la Wada comunicò l’esito positivo al testosterone del controllo a sorpresa effettuato a Racines (paese di 4mila anime in provincia di Bolzano) il 1° gennaio dello stesso anno. Di questa seconda positività, però, Schwazer si disse sempre innocente ma il 10 agosto del 2016 il Tas lo squalificò per 8 anni cancellando tutti i risultati agonistici conseguiti nella stagione.

INCONGRUENZE
Nella sua tesi difensiva, espressa di volta in volta prima in sede di giustizia sportiva poi in quelle di giustizia ordinaria (che lo indaga per frode sportiva), Schwazer ha sempre sostenuto l’innocenza e la tesi della manipolazione della provetta. In particolare l’attenzione si è focalizzata sui tempi (controllo del 1° gennaio, comunicazione della positività il 22 giugno solo dopo la conquista delle Olimpiadi da parte del marciatore) e, soprattutto, sull’ipotesi manipolazione. I campioni di urina, controanalizzati su richiesta della procura nel marzo del 2018 ovvero a oltre due anni di distanza dal prelievo, evidenziarono quantità di Dna che i Ris definirono anomale, quindi non fisiologiche avvalorando la tesi della manipolazione. Sospetti alimentati dalle difficoltà avute dai Ris nell’ottenere le provette dal laboratorio di Colonia, dove sono tuttora conservate. I tempi di questo nuovo incidente probatorio non sono certi, visto che nell’ordinanza non sono imposti termini perentori nel reperire i campioni a Fidal e Wada.
© RIPRODUZIONE RISERVATA