Barberio Corsetti, direttore dell'Argentina: «Le rivolte teatrali sono ancora possibili»

Gaia Scienza - La rivolta degli oggetti
di Simona Antonucci
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Domenica 13 Ottobre 2019, 21:24 - Ultimo aggiornamento: 21:25

«Sono ancora possibili le “rivolte teatrali”. E sono auspicabili. Bisogna fare in modo che accadano». Giorgio Barberio Corsetti, nuovo direttore del Teatro di Roma, è impegnato, oltre che nell’avvio della stagione, nelle prove di “La rivolta degli oggetti”, titolo cult della Gaia Scienza, apparso sul palco del leggendario Beat 72 e ripreso oggi a 43 anni di distanza dai fondatori dello storico gruppo che cambiò i codici della scena.

Lo spettacolo, prodotto da Fattore K, frutto di una collaborazione tra Teatro di Roma e Romaeuropa Festival, rivive all’India (dal 17 ottobre al 3 novembre) con tre giovani performer (Dario Caccuri, Carolina Ellero e Antonino Cicero Santalena), guidati dagli interpreti originali, Marco Solari, Alessandra Vanzi e Giorgio Barberio Corsetti.

 

 

«Non si tratta di un’operazione nostalgia», spiega Corsetti, «ma di un incontro tra epoche e persone differenti. La trasmissione di esperienze è un po’ l’anima del mio lavoro. L’idea su cui vorrei costruire i prossimi cartelloni dell’Argentina, dell’India, dei Teatri di Cintura, e su cui si fonda lo scambio con le altre istituzioni romane».

Una trasmissione di esperienze tra diverse fondazioni culturali: quali?
«Cominciamo da Romaeuropa. Al momento siamo legati da una convenzione per il periodo del festival. Dal prossimo anno, faremo progetti insieme. Una collaborazione strutturata con produzioni da realizzare qui. E poi, il Teatro dell’Opera. Con il Costanzi avremo un’Opera da Tre Soldi su quattro ruote. L’estate prossima, OperaCamion, oltre a Tosca, proporrà anche il capolavoro di Brecht cui lavoreremo insieme con i ragazzi dell’Accademia. Debutto all’India e poi nei quartieri della città e nel Lazio. Saremo partner della Silvio d’Amico per i corsi del biennio di specializzazione. A Palazzo delle Esposizioni, l’esperienza di “Buffalo, Grandi pianure”, con la danza contemporanea, avrà un seguito e sarà un rapporto intensificato. E poi il Macro e la Pelanda, a Testaccio, vicini di casa del Teatro India».

Un progetto sull’India?
«Con la consulenza artistica di Francesca Corona, ci sarà un gruppo di 5 “indiani” cui verrà affidato il nuovo corso: Mk, Industria Indipendente, Dom, Muta Imago e Fabio Condemi. La festa per i vent’anni è stato un po’ come stappare una bottiglia. Un nuovo inizio. Non sarà soltanto un luogo di consumazione di spettacoli, ma la sede di laboratori, scuole serali. Sarà un luogo aperto, sempre. Ristorante compreso».

Quali saranno gli artisti di riferimento?
«Alexander Zeldin farà qualcosa qui con noi. È un drammaturgo, regista inglese, giovane, 34 anni, ma già un punto di riferimento. Al National Theatre il suo “Love” è stato un successo clamoroso. Dobbiamo riuscire a rientrare nella mappa teatrale europea. Milo Rau tornerà. Così come Filippo Dini, Valerio Binasco, Davide Enia con cui sto pensando a Tor Bella Monaca. E Roberto Rustioni: con lui lavoreremo per il festival di Napoli».

Avrà tempo per le sue regie?
«Regie liriche. Un Don Carlo al San Carlo di Napoli, nel 2020. L’inaugurazione di stagione lirica di Cagliari, con Palla de’ Mozzi».

Vedremo anche a Roma uno spettacolo itinerante come La Cavalleria Rusticana che ha invaso quest’estate Matera?
«Ci sto ragionando. Un viaggio nelle periferie per arrivare a teatro. Che si tradurrà in modo visionario, ma anche fisico...». Il Valle? «Siamo fermi. Lavori, permessi. Cercheremo, nel frattempo, di tenere sempre accesa la luce».
Teatro India, lungotevere Gassman.
Dal 17 ottobre 

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