​Cesare Mirabelli

Equivoci da sfatare/ Ma il giudice decide già caso per caso

di ​Cesare Mirabelli
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Mercoledì 9 Ottobre 2019, 00:13
Si poteva attendere questa decisione della Grande Camera della Corte europea dei diritti del l’uomo di Strasburgo che sostanzialmente conferma quanto già stabilito da una Sezione della stessa corte con una sentenza del giugno scorso.
Il tema è quello del trattamento penitenziario nella situazione del cosiddetto ergastolo ostativo, cioè l’impossibilità di godere dei benefici previsti dall’ordinamento penitenziario per coloro che hanno commesso determinati reati di particolare gravità, in materia di terrorismo, criminalità organizzata e mafiosa. In questi casi, l’articolo 4 dell’ordinamento penitenziario prevede la non concessione dei benefici se non vi sia stata una collaborazione con la giustizia. In questi casi, vi è una presunzione di pericolosità che non può essere superata.

La Corte di Strasburgo giudica su singoli casi, su una violazione che si è verificata in concreto, e dunque non direttamente sulle norme. Bisogna tenere presente che non vi è un conflitto tra l’impostazione costituzionale italiana e i principi della Corte di Strasburgo che, tra l’altro, integrano in qualche modo la nostra Carta dal momento che sono richiamati in via indiretta dall’articolo 117. 

La nostra Costituzione, anzi, prevede che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e uno degli strumenti è anche quello di consentire, a determinate condizioni, di essere in contatto con l’esterno, svolgere anche un’attività lavorativa esterna dopo un determinato tempo e godere della semi libertà quando vi è una valutazione positiva da parte del giudice dell’esecuzione. 
C’è quindi una specie di individualizzazione del pena. Anche l’ordinamento penitenziario, con molta chiarezza, afferma che il trattamento deve essere conforme a umanità, assicurare il rispetto della dignità della persona e deve tendere al reinserimento sociale anche attraverso contatti con l’ambiente esterno. 
Questo, tuttavia, è escluso per coloro che si sono resi colpevoli di gravi reati che fanno ritenere che vi sia ancora un rapporto con l’organizzazione criminale, sia per terrorismo o, come nel caso specifico, con un’organizzazione mafiosa.

Qual è il punto che diventa critico e per il quale la Corte di Strasburgo ha dichiarato che vi è stata violazione della carta dei diritti dell’uomo? La previsione è che l’assenza di collaborazione con la giustizia determina una presunzione di pericolosità che non consente una diversa prova, e cioè il condannato si trova nell’impossibilità di dimostrare che non esiste alcun rapporto con l’organizzazione criminale, che il percorso rieducativo è progredito e, di fatto, il giudice non può esaminare la domanda potendo constatare soltanto che si è verificata la condizione della mancata collaborazione.

Non è però uno sconvolgimento del sistema perché dovrà essere sempre il condannato a provare pur diversamente, attraverso modalità che una nuova disciplina legislativa potrà determinare, che è venuta meno quella pericolosità che era data per presunta. Sarà poi il giudice dell’esecuzione a dover valutare. È un’apertura, un allargamento della disciplina, ma va detto che già la Corte costituzionale aveva in qualche modo rettificato l’ampiezza del divieto consentendo che i benefici fossero concessi quando la collaborazione era minima o i fatti erano ormai accertati e nessuna collaborazione era possibile. 
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