Maria Luisa Spaziani, quando Montale la chiamava «la mia volpe»

Maria Luisa Spaziani con Eugenio Montale
di Renato Minore
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Martedì 1 Luglio 2014, 02:32
Maria Luisa Spaziani era nata a Torino il 7 dicembre 1922, in un’agiata famiglia borghese, dove il padre era proprietario di un’azienda che produceva macchinari per l’industria chimica e dolciaria.



A diciannove anni aveva diretto la rivista “Il dado”. Virginia Woolf, poco prima di morire, aveva inviato alla giovane Maria Luisa un capitolo del romanzo Le onde, con una dedica autografa: «Alla piccola direttrice».



Nel gennaio del 1949 conobbe Eugenio Montale durante una sua conferenza al teatro Carignano di Torino. Da allora tra i due nacque dopo un periodo d’assidua frequentazione a Milano, un sodalizio intellettuale e un’affettuosa amicizia che la Spaziani racconterà in Montale e la volpe (Mondadori, 2011). Anche i più digiuni di poesia contemporanea forse conoscono la piccola leggenda di un acrostico della Bufera e altro (si chiama Da un lago svizzero) le cui prime lettere d’ogni verso formano il nome e il cognome della Spaziani.



«Siamo stati vicini per quindici anni, dal febbraio del 1949. Non abbiamo mai vissuto insieme, anche se insieme abbiamo fatto molti viaggi». Poi la cosa è andata smorzandosi lentamente, si è attenuata la reciproca curiosità anche letteraria. Ricordava la Spaziani: «A me non sono piaciuti molto i suoi ultimi libri che considero una specie di tradimento a quel tono “alto” che difendevamo».



Molti dei versi di quest’ultimo Montale «erano, o erano in parte, sullo schema di giochi che facevamo al ristorante, come piccoli componimenti filosofici sui fatti del giorno. Questa cosa ha creato un po’ di freddezza, una perplessità... Quando negli ultimi anni veniva al Senato, mi telefonava, ci saremo visti una quindicina di volte. Quando è stato malato, mi telefonava dalla clinica di Milano».



LE LETTERE

Ma non c’era più quel fortissimo sodalizio anche letterario di una volta, quando scrivevano molte poesie insieme, traducevano sempre a quattro mani. D’altro canto c’era anche il problema della lontananza: «Io a Roma dove abito dal 1954 lui a Milano. Poi, psicologicamente lui s’era allontanato da me, io ero dentro altre storie. Capita per tutte le cose nella vita».



Restano mille e trenta lettere, quelle di Eusebio indirizzate alla «mia volpe», le altre sono andate perdute. Montale vi parla spesso della sua vita, di questioni tecniche riguardanti la sua poesia, dei rapporti con Eliot e con la musica. Ci sono feroci caricature di personaggi ancora viventi. Come mai questo corpus imponente («È stato il telefono che ci ha impedito di continuare») è restato per tanto tempo inedito? «Quando i poeti muoiono, saltano fuori i corrispondenti, quelli che pubblicano anche otto lettere. Sono manie esibizionistiche che non sopporto».
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