Valeria Grasso: «Ho fatto arrestare i mafiosi e ho vissuto come un fantasma. Ma lo rifarei»

Il generale Minicucci premia Valeria Grasso
di Maria Lombardi
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Martedì 8 Ottobre 2019, 09:24 - Ultimo aggiornamento: 11:31

«Muori ogni giorno. Non puoi dire chi sei, non puoi fare amicizia, non puoi parlare con nessuno, non puoi andare in vacanza. I miei figli mi chiedevano: mamma, perché dobbiamo vivere nascosti?. Una cittadina che ha fatto il suo dovere tutto questo non lo può accettare». Valeria Grasso per due anni ha vissuto da fantasma, lei e i suoi tre bambini lontani da casa, in una città qualunque dove poter sparire. Rendersi invisibili per non rischiare di morire. Valeria con la sua denuncia aveva fatto arrestare alcuni esponenti del clan mafioso Madonia, a Palermo, dando il via ad inchieste che ne hanno portati in galera 25. Volevano ucciderla. «Sono entrata nel programma di protezione ed è cominciata la vita blindata. Le conseguenze della mia scelta le pagherò tutta la vita. Come fosse una condanna. Ma lo rifarei». Il coraggio di Valeria l'altra sera è stato premiato a Roma dal  generale  Marco Minicucci, comandante Legione carabinieri Lazio, la testimone ha ricevuto la targa del Women for Women against Violence – Premio Camomilla”, l'evento ideato da Donatella Gimigliano per combattere la violenza sulle donne e il tumore al seno. «Ho ancora paura, di tutto», anche se ha lasciato a Palermo, «quelli», i mafiosi, «hanno aperto un bar a pochi chilometri dalla palestra che ero stata costretta a chiudere». Valeria, ora cinquantenne, lavora al ministero della Salute ed è impegnata in un progetto con il Viminale che le sta molto a cuore: trasformare i beni confiscati alla mafia in luoghi di accoglienza e assistenza per ragazzi disabili o disagiati. 

Premiato il coraggio delle donne 

La storia
«Avevo 35 anni quando ho aperto una palestra a San Lorenzo, un quartiere di Palermo ad altissima densità mafiosa». Il locale lo aveva preso in affitto dalla signora Mariangela Di Trapani, moglie di Nino Madonia. Un giorno si presenta un custode giudiziario: l'immobile è stato confiscato, d'ora in poi dovrà vedersela con il tribunale di Palermo. «Ma un esattore della famiglia Madonia pretendeva che continuassi a pagare l'affitto anche a loro. Così davo i soldi allo Stato e ai mafiosi. Ero già mamma di tre figli, divorziata, non potevo farcela. E ho dato l'attività in gestione. Quelli si sono presentati chiedendomi come mi ero permessa di fare questo senza il loro consenso. O paghi per sempre, mi dissero, oppure chiedi i soldi all'affittuario e li dai a noi. Da vittima dunque sarei dovuta diventare esattore. Se non lo fai, mi hanno minacciata, chi ha la palestra non avrà una vita serena».

La casa confiscata per le vittime di violenza

Le minacce
«Ho preso 48 ore di tempo e mi sono presentata alla caserma dei carabinieri per raccontare tutto. Ho restituito i soldi ai gestori della palestra per metterli al riparo e ho ripreso in mano l'attività». Dopo qualche mese di indagini, quattro del clan vengono arrestati, tra cui Salvatore Lo Cricchio, uomo di fiducia di Lady Mafia, come veniva chiamata Mariangela Madonia, e Rosario Pedone, l'esattore (entrambi condannati). «Da quel momento per me comincia l'inferno: sul muro della palestra trovo tre croci nere, erano per i miei figli. Mi tranciano i cavi della luce, entrano a casa e rubano un quadretto con la foto dei miei bambini, allora avevano 5, 11 e 13 anni.  Un giorno vengono a prenderci i carabinieri e ci portano in una località segreta, nel giro di due ore abbiamo dovuto lasciare casa. In alcune intercettazioni quelli del clan parlavano di me: questa va eliminata, dicevano. Mamma, cosa hai combinato?, mi chiedevano i miei figli. Abbiamo girato varie città. Vivevamo da fantasmi. Ma io ho fatto il mio dovere, pensavo, perché devo scontare questa pena? Chi la restituirà l'adolescenza ai miei figli? E la libertà perduta? Dopo due anni ho chiesto di uscire dal programma di protezione e siamo tornati a Palermo. Ma quelli me li trovavo sempre intorno, così abbiamo di nuovo lasciato la Sicilia».
Valeria comincia a raccontare la sua storia, «per sentirmi protetta». Va in giro nelle scuole, «voglio trasmettere ai ragazzi la forza di ribellarsi al sistema dei mafiosi. Anche se ho pagato tantissimo, io lo rifarei».
 

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