Disordinato ma ancora qui, l'arte di godersi un figlio

Disordinato ma ancora qui, l'arte di godersi un figlio
di Raffaella Troili
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Mercoledì 2 Ottobre 2019, 00:38
I calzini sparsi a caso come addobbi natalizi, il pigiama nel bidet, la borsa di calcio che odora di urina di gatto in salone, i cartoni dei succhi tra l’argenteria, i trucchi rubati e rimessi nella trousse malconci, aperti, secchi. I cassetti aperti, tanto vanno riaperti. Ma da un po’, un pensiero parte in contemporanea con l’urlaccio. Mancheranno, chissà quanto, questo caos, questo estenuante gioco al rimprovero. Non è l’indole al melodramma ma l’esperienza delle amiche intorno. Quelle che hanno i figli che già migrano per lavoro o per studio. In Italia o all’estero. I loro occhi fieri, sereni, ma con una lacrimuccia in agguato, insegnano l’arte della tolleranza, ricordano che un tempo siamo stati distratti e disordinati anche noi (c’è chi lo è rimasto) e che tutto è provvisorio, che un giorno finirà.
Resterà il quadro di valore inciso per sempre da una pallonata o quella lieve sfumatura grigia sul muro a memoria di due olive ascolane lasciate sul fornello acceso e un incendio importante evitato per poco. Così ora inciampando in uno zaino, insegnando tutti i giorni come funziona lo scarico del water o raccattando cataste di panni, scatta il rimprovero melanconico, perché «questa casa non è un albergo». E invece lo è.
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