Lago Albano, il comandante dei sub dei vigili del fuoco: «Così si evita di annegare»

Lago Albano, il comandante dei sub dei vigili del fuoco dopo le tragegie estive: «Così si evita di annegare»
di Ermanno Amedei
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Giovedì 26 Settembre 2019, 16:32 - Ultimo aggiornamento: 28 Settembre, 09:44

"Non è il lago ad essere il mostro che uccide la gente, ma l'imprudenza e l'inesperienza di chi fa il bagno".
Lo dice a proposito del Lago Albano Carlo Zelinotti, responsabile del nucleo di soccorso subacqueo e acquatico del comando provinciale vigili del fuoco di Roma, originario di Marino e profondo conoscitore dello specchio d’acqua di Castel Gandolfo.

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Nel bilancio della stagione balneare appena conclusa sul lago dei Castelli, anche quest’anno si contano delle vittime per affogamento; due per la precisione. Un bilancio pesante per un bacino relativamente piccolo se confrontato con la mezza dozzina di decessi avvenuti per le stesse cause sui compressivi 368 chilometri di costa marittima del Lazio.
Zelinotti è un vero esperto di quel Lago anche perché è intervenuto in ogni recupero di salma negli ultimi 40 anni.
“Fare il bagno al lago è molto diverso dal farlo al mare. L’acqua dolce, infatti, ha un peso specifico inferiore a quella salata. Ciò significa che rimanere a galla è più faticoso e questo aspetto influisce molto sulle capacità natatorie del bagnante. L’altro aspetto fondamentale che rende il lago diverso dal mare è la temperature dell’acqua; nel lago è più fredda e scende, rispetto al mare, più repentinamente quando ci si immerge”.

Lo shock termico, infatti, pare sia un vero killer pronto a colpire stordendo i bagnati e causandone la caduta verso gli abissi.
“Il lago non ha correnti di alcun tipo; è acqua sostanzialmente ferma. Quello che cambia è la temperatura che in quel particolare lago, d’estate, dai 24-26 gradi di superfice cala anche di 4 gradi ad appena due metri di profondità. Una condizione che causa shock termici a chi si cala in acqua da un pattino o da un materassino dopo una lunga esposizione al sole. Dai 30 o 35 gradi di temperatura esterna, si piomba con un tuffo che va sotto il metro d’acqua, anche ai 20 gradi. Un cambio improvviso di temperatura che il corpo non sa gestire e causa la cosiddetta sincope da idrocuzione, o meglio, uno svenimento in seguito al quale lo sventurato comincia a ingerire acqua perdendo la spinta positiva data dall’aria nei polmoni; se non ha vicino qualcuno pronto a soccorrerlo, per lui è la fine”. 
La diversa consistenza dell’acqua dolce e il rischio di shock termici sono aspetti ben noti a chi conosce il lago e che difficilmente sottovalutano. “Per gli inesperti il rischio è maggiore ed infatti, le ultime vittime sono tutti ragazzi arrivati a Castel Gandolfo per brevi vacanze”.
L’altra particolarità del lago di Albano sta poi nelle difficoltà delle ricerche e del recupero dei corpi tanto che spesso le salme vengono individuate e tirate a riva diverse settimane dopo l’affogamento.
“Al mare o nei fiumi, - spiega l’esperto sommozzatore -  complice le correnti e le diverse condizioni di temperatura, i corpi vengono spinti verso le rive. Nei laghi, invece, il corpo della vittima tende a scendere fino al fondo. Nel bacino dei Castelli il termoclino, il limite sopra il quale l’acqua è più calda e sotto resta fredda, è fissato a 18 metri. Sopra questa linea si crea uno zoccolo di limo di circa sei metri. Quindi tra i 12 e i 18 metri i sommozzatori soccorritori lavorano alla cieca. Il limo rende la visibilità di poche decine di centimetri”. In questo strato, a 16 metri di profondità, il limo nascondeva il corpo della vittima di agosto. I sommozzatori hanno impiegato due settimane per ritrovarlo.
“Superati i 18 metri, l’acqua è cristallina ma il buio è totale.
La luce non arriva e la temperatura si stabilizza sugli 8 gradi fino al fondale. A 30 metri di profondità l’acqua è priva di ossigeno sostituito dall’anidrite solforosa. Sotto i trenta metri, quindi, il fondale assume un aspetto lunare, nessuna alga, nessun pesce, solamente sassi. Per trovare velocemente un corpo, deve essere ben circostanziata la segnalazione dell’ultimo avvistamento. Se l’indicazione è precisa basta scendere in verticale fino sotto al fondo e lì si trova il corpo. Alcune salme le abbiamo recuperate ad 80 metri, ma per farlo abbiamo avuto bisogno di un rover, un sottomarino teleguidato. Se le indicazioni come spesso accade, sono imprecise, servono settimane per effettuare i recuperi”.

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