Diabolik, i segreti dietro la morte di Piscitelli: spunta la pista dell’oro

Fabrizio Piscitelli
di Giuseppe Scarpa
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Mercoledì 18 Settembre 2019, 02:05 - Ultimo aggiornamento: 10:17

Il colpo di scena porta la data del due settembre. Un uomo incappucciato, con una pistola in pugno, in pantaloncini e con indosso una felpa grigia dice di essere a conoscenza dei mandanti dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli, 53 anni. È a volto coperto ma declina le sue generalità: «Mi chiamo Fabio Gaudenzi, sono nato a Roma il 3 marzo 1972». Alle spalle una foto, un gruppo di ultras fuori dallo stadio San Siro a Milano e la scritta “Opposta Fazione”. È la frangia neonazista del tifo giallorosso. È un video delirante.

Gaudenzi, soprannominato lo “Zoppo”, ben conosce la mala romana, è stato condannato per usura a 2 anni e 8 mesi nell’inchiesta mondo di mezzo. Amico e tirapiedi di Massimo Carminati è in ottimi rapporti anche con Piscitelli. Con loro condivide la fede politica, di estrema destra. Ciò che dice a tratti è farneticante: «Apparteniamo al gruppo storico dei fascisti di Roma Nord». Di questa sigla non c’è alcuna traccia. Ad ogni modo è chiaro che voglia essere arrestato. Ha in pugno un’arma e promette vendetta: «Ricordatevi tutti che lo Zoppo non dimentica». In poco tempo la polizia gli piomba a casa, finisce in manette e poi a Rebibbia in attesa di essere sentito dai pm della Dda Giovanni Muasarò e Nadia Plastina. Lui dice di voler parlare solo con Nicola Gratteri, procuratore capo a Catanzaro e storico conoscitore della ‘ndrangheta. 

LE MAFIE
Lo “Zoppo”, in questo modo sembra, implicitamente, suggerire una pista che porta alla mafia calabrese. Un’ipotesi, a dire il vero, che gli investigatori stavano già battendo così come quella della camorra. Di fatto l’assassinio compiuto con quella modalità è tipico della criminalità organizzata, tant’è che i magistrati avevano, da subito, deciso di aprire il fascicolo per omicidio con l’aggravante mafiosa. Come accade nei posti in cui la mafia è di casa, anche attorno all’omicidio Diabolik, si alza un muro di omertà.
 

 


Nessuno parla con gli investigatori, tutti stanno zitti soprattutto gli amici negli ambienti ultras che più di tutti, a parole, chiedono giustizia. Nessuno si presenta in procura, nemmeno i familiari, per cercare di costruire nei dettagli i rapporti di amicizia di Piscitelli. Il suo storico autista agli agenti della squadra mobile dice: «Arrestatemi, io non so niente». Muto insomma. E in silenzio rimangono anche i tre cellulari di Diabolik, nessuno fornisce un minimo aiuto per decriptarli. Eppure nelle ultime chiamate potrebbe nascondersi il nome dell’uomo che lo ha tradito facendolo cadere nella trappola che gli è costata la vita: l’appuntamento al parco degli Acquedotti. La procura, perciò, è costretta ad affidare gli smartphone ad una società estera nella speranza di riuscire ad esfiltrare i dati. 
 


D’altro canto un omicidio così brutale e plateale fa paura a molti e porta con sé un duplice messaggio, oltre ad eliminare un soggetto ingombrante che ha compiuto uno sgarbo, rappresenta anche una prova di forza che può avere questo significato: “non provate a reagire siamo forti”. Un assassinio che solo un’organizzazione criminale ben strutturata poteva pianificare ed eseguire, un killer travestito da runner che spara e corre via tranquillo. Tanto più che la zona del parco degli Acquedotti, dove Diabolik è stato freddato alle 18.50 del 7 agosto, è una fetta di territorio su cui la camorra esercita il controllo. Perciò, ragionano gli investigatori, l’omicidio forse si sarebbe consumato quanto meno con l’assenso dei napoletani. Anche se una prima smentita arriva dal capoluogo campano. In città, il padre di Michele Senese, l’anziano Vincenzo, piange la morte di Diabolik.

D’altro canto Michele o’ pazzo era l’uomo, secondo i rapporti del Gico della finanza e del Ros dei carabinieri, con cui era in affari Diabolik. Piscitelli, in un rapporto di subalternità, si interfacciava con un boss di spessore della camorra. Il punto, però, è che il 27 giugno 2013 Senese veniva arrestato. Quattro mesi dopo finiva in cella anche Diabolik con l’accusa di importare hashish dalla Spagna. Tuttavia Michele o’ pazzo finiva in carcere, rinchiuso in regime di 41 bis, con la previsione di uscirne in un tempo indefinito. Mentre Piscitelli, a luglio del 2017, era un uomo libero, ma con meno agganci robusti, rispetto a prima, a Roma.

La Capitale è una giungla i cui equilibri criminali cambiano velocemente, nell’arco di mesi. Di tutto può essere accaduto nei 4 anni passati da Diabolik tra domiciliari e carcere. 

GAUDENZI
In questo clima di omertà è appunto Gaudenzi a spiazzare tutti. Una deposizione che non ha convinto del tutto gli inquirenti. Quando l’uomo si siede di fronte ai pm fornisce una teoria che nessuno, fino a quel momento, aveva ipotizzato: «Non si tratta di droga», sottolinea sicuro. «È una questione di oro».

In realtà questa vicenda veniva trattata marginalmente nell’inchiesta mondo di mezzo, senza che la figura di Piscitelli venisse lambita. Lo Zoppo, però lo tira dentro. E spiega di averlo coinvolto lui in questo affare dopo essere stato imbrogliato da Filippo Maria Macchi. Gaudenzi si sarebbe esposto per recuperare parte del denaro, prestato dagli amici “camerati”, Massimo Carminati, Riccardo Brugia e i fratelli Bracci, per acquistare nel 2014 tre quintali d’oro in Africa. Macchi sarebbe scomparso con il metallo prezioso e i soldi, lasciando Gaudenzi in un mare di guai. Gli unici ad aiutarlo sarebbero stati due “camerati” Maurizio Terminali e Fabrizio Piscitelli. Il primo gli avrebbe detto che Macchi si trovava a Siena, salvo poi morire per overdose a fine giugno, «assassinato» per Gaudenzi. Mentre Diabolik gli avrebbe comunicato che il suo uomo era ad Anzio, salvo poi essere sparato.

Questa insomma la versione dello Zoppo. Per ora l’unico che ha parlato, nella speranza che altri coraggiosi si facciano avanti per disvelare il mistero dell’omicidio di Diabolik.

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