Era alle Universiadi, era “l’italiano da battere”. Non ci riuscirono, anzi fu lui a battere quelli che c’erano più tutto il mondo. Sarebbe rimasto in cima a tutti per 17 anni. Una volta organizzarono una gara al Sestriere, nel cielo d’Italia, perché Michael Johnson battesse il primato. Gli avevano promesso una Ferrari. Invitarono Mennea. “Se non lo fa la date a me?”. Gli dissero di no e non andò. La Ferrari rimase in garage. Sarebbero passati ancora anni prima che Michael Johnson facesse il primato (che ora è di Usain Bolt). Per farlo, Johnson indossò scarpe magiche, leggere e rampanti, che potevi correrci una volta sola e poi evaporavano. “C’è qualcuno più felice di te?” chiesero a Mennea. “Mio padre” rispose lui. Felice come Pietro, invece, fu tutta l’Italia, sportiva e no, che aveva trovato un altro dei suoi Grandi Eroi dello sport. Carlo Vittori, il Professore, che lo allenava tra durezze e buffetti, cronometrò manualmente 10.24 per i primi 100 metri e 9.38 per i secondi. Primo Nebiolo, il Grande Capo dell’atletica di quei tempi, corse ad abbracciarlo “più veloce di Mennea”. Cose di un altro mondo. E di un altro mondiale. Non c’erano i selfie, sennò ne avremmo uno.
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