Mario Ajello
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Roma umiliata: da due righe a due parole tra paura del Nord e giochi di partito

Roma umiliata: da due righe a due parole tra paura del Nord e giochi di partito
di Mario Ajello
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Giovedì 5 Settembre 2019, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 16:23

Erano due righe, sono diventate due parole. C’era un capitolo interamente dedicato, il punto 26, e ora non c’è più. Così Roma perde spazio, peso e posto, nel programma demo-grillino dalla prima versione all’ultima. Che ha l’effetto di un’umiliazione per la Capitale. Quasi ci si vergogna di lei, della città guida d’Italia, sennò non sarebbe stata trattata così. È finita in un calderone, il punto 20, dove si affastellano confusamente le frasi fatte sull’autonomia differenziata da portare avanti e rivendicare. E poi con timidezza viene fatto spuntare il nome di Roma mescolato allo «sviluppo sostenibile delle città, delle città metropolitane, della capitale, attuando la legge per la valorizzazione dei piccolo comuni».

L’Urbe, insomma, come una qualsiasi città. Esattamente come la pensava Salvini - «Dare i soldi alla Capitale? Solo se li diamo anche a tutti gli altri» - al tempo della sua lotta nordista contro il SalvaRoma. 
Non gli hanno fatto meritare neppure un punto specifico, ma appena un angoletto invisibile e vuoto di tutto. Questa la considerazione, minimizzante, anti-storica e contro-patriottica (senza la sua Capitale, l’Italia non c’è), che i nuovi governanti rivolgono al cuore dello Stato. Ostinandosi a degradare Roma a normale ente locale, a una semplice realtà metropolitana. Il che oltre a una beffa è un danno e il segno di un imperdonabile carenza politico-culturale. Ci vorrebbe Cavour a ricordare ancora una volta, ma evidentemente non basta mai, che «Roma è l’unica città italiana a poter vantare tradizioni non soltanto municipalistiche». 

Nel passaggio da due righe a due parole, c’è un malcelato disegno politicista. Quello di due partiti che affrontano la questione di Roma non come se fosse una materia istituzionale o civica qual è. Ma in un’ottica di reciproca convenienza che è questa e che suona come un amaro paradosso da parte di chi oltretutto governa il Campidoglio (M5S) e la Regione (Pd): non mi giova insistere sulla valorizzazione di Roma, sennò al Nord i pochi voti che ho diminuiscono ancora. Ma è un ragionamento patriottico questo? Roma come un problema di tattica politica, legato al complessivo consenso su scala nazionale, è un tradimento immeritato e illogico.

E svilire questa città-nazione per paura dei sindaci settentrionali - Sala, l’Appendino e gli altri che hanno imposto lo scivolamento a piè di pagina della questione Capitale - vuol dire non capire né Roma né il Nord. Una politica che si rispetti dovrebbe essere capace allo stesso tempo di rafforzare la funzione della Capitale, con leggi ad hoc e con atti concreti, e di garantire il Settentrione e i suoi ceti produttivi coinvolgendoli in un disegno generale e non mandandoli all’opposizione.

La «Politica come professione» la scrisse Max Weber, ma in giallo-rosso non è stata ancora tradotta.

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