Brexit caos, governo Johnson ko al primo voto sulla legge anti no-Deal, il premier: «Elezioni anticipate»

Brexit, Boris Johnson perde la maggioranza in Parlamento: deputato Tory lascia il parito
di Cristina Marconi
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Martedì 3 Settembre 2019, 17:09 - Ultimo aggiornamento: 4 Settembre, 22:35

«Bell’inizio, Boris», ha tuonato qualcuno quando lo speaker della Camera John Bercow, nella tarda serata di ieri, ha annunciato la sconfitta del governo con 328 voti contro 301 al primissimo appuntamento con il Parlamento. Parlamento che oggi, grazie al voto di ieri, discuterà e voterà un testo per impedire al governo di andare al no deal il 31 ottobre prossimo, data fissata per la Brexit, imponendogli di chiedere un rinvio di tre mesi, fino al 31 gennaio, qualora non ci fosse un accordo con Bruxelles entro il 19 del mese prossimo. Johnson ha annunciato l’espulsione dei deputati ribelli.
 


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LA STRATEGIA
Il premier ha subito reagito dicendo di non volere elezioni, ma che qualora oggi la misura fosse approvata sarebbe costretto a presentare una mozione per un voto anticipato già a ottobre, il 14 probabilmente. E ha accusato i suoi oppositori di voler portare «più dubbi, più ritardi e più confusione» in un negoziato con Bruxelles da cui continua ad aspettarsi risultati positivi. Ma per molti deputati non è solo la questione del no deal ad essere in ballo, ma anche un principio di autorità del Parlamento che il governo, con la decisione di sospenderlo per cinque invece delle tre settimane di prammatica e proprio ora che si avvicina la Brexit, sta offendendo. 

Nella drammatica giornata di ieri, il premier britannico ha perso la sua maggioranza dopo che un Tory, Phillip Lee, ha deciso di passare ai LibDem per protesta contro le spericolate mosse dell’inquilino di Downing Street. 

«La fede conservatrice di una persona ormai si misura in base a quanta voglia abbia di lasciare l’Unione europea in maniera scriteriata», ha scritto Lee nella sua lettera di dimissioni, suggerendo che altri colleghi di partito potrebbero seguire la sua strada in questi giorni di frenesia parlamentare per cercare di fare il massimo con il poco tempo a disposizione. Ma Johnson non starebbe facendo niente per trattenere i ribelli, anzi, la sua strategia è tutta rivolta a liberarsi di quelli che considera pesi morti in vista di una chiamata alle urne per la quale sente di avere il vento in poppa. Perché alla fine il Regno Unito, in un momento in cui la scelta è fondamentalmente ridotta a due sole opzioni, ossia il rischio di no deal con Johnson o un governo socialista con il legnoso laburista Jeremy Corbyn, potrebbe preferire la prima, nonostante gli allarmi sui rischi che questo scenario comporterebbe. In questa cornice, Johnson, consigliato dal falco Dominic Cummings, la mente dietro la campagna del leave nel 2016, ha motivo per procedere spedito sebbene le spaccature all’interno del suo partito siano ormai insostenibili. 

I RIBELLI
A guidare il gruppo di una ventina di ribelli Tories c’è l’ex cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, ma si parla del rischio che oggi i tempi si allunghino a dismisura per via di una novantina di emendamenti che i deputati pro-Johnson sono pronti a discutere per ore. Qualche ribelle dovrebbe esserci anche sul fronte laburista, dove non tutti sono convinti che sia una buona idea andare a elezioni, e non solo perché Corbyn terrorizza la classe media e le imprese con le sue promesse di tassazione pesante e di redistribuzione della ricchezza. La Brexit, anche per l’opposizione, è un tema problematico, soprattutto nel nord del paese, e la linea di Corbyn, euroscettico storico, è sempre stata ondivaga. Alcuni laburisti pro-Brexit hanno addirittura ventilato l’ipotesi di rimettere ai voti addirittura il vecchio accordo raggiunto dalla ex premier Theresa May con Bruxelles e già respinto tre volte dal Parlamento. Per i LibDem, gli unici a dire chiaramente di voler lavorare per revocare la richiesta di uscire dalla Ue, l’appuntamento con le urne sarebbe benvenuto, anche se con il sistema britannico non è semplice trasformare i voi in seggi. 

​Ad ogni modo Boris Johnson sta registrando un primato: nessun primo ministro nella storia ha affrontato un primo passaggio parlamentare in cui Westminster ha chiesto di prendere il controllo dell’agenda politica. Per questo, se ci saranno, quelle del 14 ottobre prossimo potrebbero essere le elezioni della «gente contro il parlamento», secondo la definizione circolata nelle ultime settimane. Alla ricerca della vera essenza della democrazia in un paese che sembra aver perso quel ‘common sense’, buon senso, per il quale era famoso in tutto il mondo. 
 

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