Scuola, caos vaccini: il 10% degli alunni non sarà in regola

Scuola, caos vaccini: il 10% degli alunni non sarà in regola
di Claudia Guasco
4 Minuti di Lettura
Sabato 31 Agosto 2019, 00:22 - Ultimo aggiornamento: 13:12

«Perché avveleni tuo figlio? Mercurio e alluminio nel suo sangue», è la scritta a caratteri cubitali comparsa qualche giorno fa sulla facciata del centro vaccinazioni di Mascalucia, nel catanese. La riapertura delle scuole è ormai imminente e la protesta dei no vax riprende vigore. Ma dal 10 luglio il termine ultimo è scaduto: per entrare a scuola gli alunni da zero a sedici anni devono essere in regola con le dieci vaccinazioni obbligatorie previste dalla legge Lorenzin del 2017. Chi ha meno di sei anni e non ha seguito la profilassi non entra all’asilo, per i genitori di tutti gli altri scatterà una multa da 100 a 500 euro. I verbali sono già partiti: lunedì 8 agosto a Rimini, roccaforte dei riottosi ai vaccini, i vigili hanno consegnato 27 lettere a famiglie no vax che non intendono mettersi in regola, comunicando loro che i figli (già iscritti) non saranno accettati nei nidi e nelle materne.

Morbillo, triplicati i casi in tutto il mondo: l'Oms lancia allarme anche per Europa e Usa

RAFFICA DI SANZIONI
«La copertura aumenta e anche il recupero degli inadempienti, tuttavia è necessario migliorare l’offerta e l’accesso ai servizi. E dissolvere i dubbi dei cittadini su sicurezza, efficacia e utilità dei vaccini», riflette il ministro della Salute uscente Giulia Grillo osservando i dati del 2018. Da cui si evince che, a livello nazionale, il 4% dei bimbi fino a sei anni non potrà frequentare l’asilo poiché non immune alla polio (la copertura dell’esavalente è al 96%) e il 5,1% perché non ha fatto l’anti-morbillo (contenuto nella trivalente, la cui copertura è del 94,5%). Per la scuola dell’obbligo la situazione è critica, dal momento che la multa potrebbe non rappresentare un deterrente definitivo per il fronte duro dei no vax: in classe potrebbe entrare il 9,3% di alunni senza quarta dose di anti-polio (90,7% la copertura nazionale, insufficiente per debellare la malattia) e il 10,8 non immune al morbillo. Tra i baluardi del movimento ostile alla profilassi c’è Bolzano: solo il 65% è vaccinato contro il morbillo e il 60% contro il meningococco, qui il comune ha espulso dalle materne 470 bambini regolarmente iscritti ma non vaccinati.

La mappa dell’Italia non è omogenea, ci sono regioni virtuose e aree dove il credo no vax ha messo radici profonde. Rimini, ad esempio, dove il sindaco Andrea Gnassi ha fatto pagare 50 euro per ogni giorno di scuola frequentato da uno studente non vaccinato: il conto finale è stato di 90 mila euro e una sessantina di famiglie sanzionate. A Venezia portone sbarrato per 1.800 bambini che, a settembre, non potranno andare all’asilo e in tutto il Veneto sono pronti verbali da 180 euro per le famiglie di 50 mila studenti. In Lombardia sono 20 mila i bambini che non potranno andare alla materna, 700 nell’area di Firenze, 400 a Bologna. Regione d’eccellenza il Lazio, dove «la copertura ha superato il 98% per il vaccino contro polio, difterite, tetano, epatite B e pertosse e oltre il 97% per il morbillo, la parotite e la rosolia», ha annunciato l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato. Scenario diverso a Roma, dove nel 2018 l’obiettivo di vaccinare il 95% dei bambini fissato dal ministero della Salute è stato raggiunto solo nei territori di competenza dell’Asl Roma 1. L’Asl Roma 2 si è fermata al 90,81% e Roma 3, che comprende anche il comune di Fiumicino, non è andata oltre l’86,5%.

L’ANAGRAFE
La novità di quest’anno, per le famiglie, è un alleggerimento degli oneri burocratici grazie all’introduzione dell’Anagrafe vaccinale. Grazie alla comunicazione telematica tra Asl e istituti, non è stato necessario presentare alle scuole i certificati di avvenuta vaccinazione entro il 10 luglio. «Un grosso passo avanti, anche se ci sono voluti due anni», commenta Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi. L’avvio è stato faticoso e fino a cinque mesi fa solo undici regioni erano pronte, tra queste Lazio, Abruzzo, Umbria, mentre sono rimaste indietro Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Marche e Molise. Ora però il meccanismo è rodato, assicura il ministero: «Tutte le regioni hanno avviato da aprile la trasmissione dei dati, tranne le province autonome di Trento e Bolzano che saranno presto a regime».

© RIPRODUZIONE RISERVATA