Carlo Nordio
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Il nodo sicurezza/ Il Viminale un’eredità che scotta

di Carlo Nordio
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Giovedì 29 Agosto 2019, 00:21 - Ultimo aggiornamento: 07:21
Nel diritto civile, di cui il Presidente Conte è autorevole maestro, l’espressione “damnosa hereditas” designa l’eredità passiva, quella cioè in cui i debiti sopravanzano i crediti, e rischiano di gravare negativamente sull’erede. A quest’ultimo la legge riconosce, come misura prudenziale, il beneficio d’inventario. 

Cioè il dovere di pagare i debiti nei limiti del valore dei beni pervenutigli. Tutto questo, naturalmente, presume che ci sia anche un defunto, che i romani chiamavano eufemisticamente “de cuius”, e che per definizione si distingue dall’erede. Sembra una banalità ma nel nostro caso non lo è. L’eredità politica dell’eventuale nuovo governo sembra infatti contraddire questo lapalissiano principio. Perché, risorgendo dalle sue ceneri come la mitica Fenice, Conte subentra a se stesso, assumendo il metafisico ruolo di defunto ed erede, dante ed avente causa, cedente e cessionario ecc. Insomma deve gestire la sua stessa eredità.

Questa eredità è ovviamente dannosa. Non lo è in se stessa, perché sia Conte che Di Maio hanno sempre proclamato di aver lavorato bene. Ma lo è per l’intervento sopravvenuto dei nuovi soci, che si insinuano nel passivo del vecchio governo pretendendone una radicale discontinuità. Quindi Conte deve gestire un asse ereditario aggredito da esigenti creditori rinnegando i debiti che lui stesso ha contratto con il Paese nella sua carica precedente.

Il punto più cruciale di questa “damnosa hereditas” risiede, ovviamente, nella politica migratoria, di cui Pd e Leu hanno chiesto un’inversione strategica, che in teoria dovrebbe costringere il nuovo Premier a “dipanare - come Riccardo II - la matassa delle sue colpe”. Perché è stato lui ad avallare i respingimenti delle Ong, a sollevare Salvini dall’inchiesta sulla Diciotti e a firmare tutti i provvedimenti relativi: condotte che, a suo tempo, furono definite dai nuovi alleati come disgustose e criminali. Tuttavia, anche ammesso che Conte, a differenza dello sfortunato sovrano inglese, eviti un umiliante mea culpa, resta il fatto che la questione non può esaurirsi lì, perché lo stesso Premier, penitente o no, dovrà gestire il nuovo corso, discontinuo rispetto al precedente. E qui sorge la domanda: discontinuo come?

La domanda è lecita perché, al netto delle omiletiche indicazioni di intenti di assistenza solidale, non è ben chiaro come il nuovo (eventuale) governo intenda procedere. Le possibilità sono infatti tre. La prima, è il mantenimento della linea attuale di chiusura dei porti, con qualche generosa ed episodica concessione umanitaria, sapientemente pubblicizzata, per simulare un discontinuità solo apparente. Ipotesi difficile, vista la vigilanza dei nuovi soci. La seconda è il ritorno alla linea Minniti che aveva bloccato le navi direttamente in Libia con un accordo politico, e forse finanziario, con i potentati locali. Ma questo presuppone una ripresa di relazioni internazionali lunga e faticosa, probabilmente sgradita a una parte della nuova coalizione. La terza è la riapertura tout court dei porti. Sarebbe suicida, sia perché la riduzione degli ingressi illegali ha ottenuto un largo consenso popolare anche oltre l’elettorato salviniano, sia perché produrrebbe una sconfessione così radicale del precedente governo da screditare le istituzioni e lo stesso Premier davanti al Paese e al mondo. Sarebbe infatti difficile ipotizzare che il medesimo Presidente del Consiglio si presentasse in Europa, alla quale aveva insistentemente chiesto una distribuzione nell’approdo delle navi, assicurando tutti che il problema è stato risolto e che in definitiva si era scherzato.

Ecco perché, tra tutti i gravami debitori, quello dell’immigrazione è il più ingestibile. L’erede di se stesso non potrà neanche invocare il beneficio di inventario, perché neanche il suo governo (eventuale) conosce le prossime pretese creditorie dei soci e quindi la consistenza del passivo. E questo potrebbe, un domani, manifestarsi così oneroso e insopportabile, da richiedere l’intervento di un liquidatore. 
 
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