Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Le attese del Paese/ Riformisti e statalisti alla prova della crescita

di Paolo Balduzzi
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Martedì 27 Agosto 2019, 00:00
In un agosto mai così ricco di incertezze politiche (nascerà un nuovo Governo? ci sarà l’aumento dell’Iva? chi scriverà la prossima legge di bilancio?), ci pensa l’Ocse a mettere qualche punto fermo. E, ancora una volta, non sono buone notizie per la nostra economia: in Italia, la crescita è nulla, sia su base annuale sia su base trimestrale; siamo gli ultimi tra i Paesi del G7 (+2,3% la crescita degli Stati Uniti, primi classificati), e lontanamente sotto la media tra i membri dell’area euro. Un avvitamento in spirale negativa che certo non affonda le sue radici nell’ultimo anno ma che col governo gialloverde ha ricevuto ulteriori durissimi colpi. 

Di fronte a una prospettiva economica non certo rosea, quindi, viene naturale chiedersi se lo scenario politico più favorevole sia quello di un nuova maggioranza al’interno dell’attuale Parlamento o quello di elezioni anticipate.
Si tratta di due alternative molto differenti visto che, è inutile ignorarlo, porterebbero a maggioranze molto diverse tra di loro. L’intesa sul Conte bis pone un cruciale dilemma: assisteremo ad una stagione riformista e pragmatica, di cui il Paese ha fortemente bisogno? Oppure le distanze tra i due partiti saranno letali? <HS9>Non che manchino i punti in comune tra democratici e pentastellati (si pensi per esempio al principio del reddito di cittadinanza); ma è altrettanto evidente che dal punto di vista economico i due partiti restano ancora piuttosto distanti. In realtà, e per essere precisi, è il Pd che resta di fatto distante da se stesso, ancora caratterizzato da (almeno) due anime molto poco in sintonia tra di loro. Illustra bene il punto la recente intervista a questo giornale del senatore democratico Tommaso Nannicini, esponente per l’appunto dell’area riformista: “Sull’economia faremo a capocciate”. A pensarci bene, la speranza è proprio che queste capocciate ci siano, e siano numerose. Significherebbe che in quella maggioranza le posizioni riformiste cercherebbero almeno di ottenere uno spiraglio.

<HS9>Il pericolo è infatti che, al contrario, alla stagione del governo populista giallo-verde ne segua una altrettanto populista ma di stampo diverso. Il populismo non ha infatti colore politico, si caratterizza per la mancanza - o impalpabilità - di corpi intermedi tra elettorato e legislatore e per la tendenza a perpetrare politiche dal tenore elettorale e dall’orizzonte temporale di brevissimo termine. Quindi, se testate sull’economia ci saranno, esse saranno il segno che all’anima più statalista e orientata alla spesa pubblica – e quindi alla tassazione – di M5S e parte del Pd, si sarà riuscita a opporre una visione più riformista, e potremmo osare dire liberale, della restante parte del Pd (e, ce lo auguriamo, anche di qualche esponente dei 5 Stelle).

Un conflitto necessario per cercare almeno una sintesi tra posizioni diverse. Perché se è vero che l’assetto proporzionale della legge elettorale obbliga la formazione di coalizioni, e se è vero che così è stato per i primi 45anni della nostra Repubblica, la differenza col passato è che fino agli anni ’80 del secolo scorso il vincolo di bilancio non è mai stato un problema per la politica. Anzi: il ricorso al deficit e l’accumulo di debito pubblico hanno permesso a coalizioni sempre più eterogenee di mantenere il proprio potere esclusivamente a spese delle generazioni future. Ora questa possibilità, per fortuna, non c’è più. Le coalizioni possono resistere solo se si trovano posizioni comuni e non, come prima, espandendo all’infinito la spesa pubblica per accontentare tutti. E la caduta del governo Conte ne è esempio lampante (o c’è qualcuno che davvero crede che Salvini abbia staccato la spina per la Tav?).

<HS9>Senza un controllo serio del livello e della composizione della spesa pubblica il baratro sarebbe alle porte: basti pensare alle prospettive del sistema pensionistico, in un paese che continua ad invecchiare e che invece di riformare la previdenza rende più facile i pensionamenti. Non esistono pasti gratis in economia, lo scriviamo da sempre. E forse nemmeno in politica: come ci ricorda il politologo statunitense William Galston, è molto più semplice passare dal riformismo al populismo che il contrario, dovendo pagare, di fronte agli elettori, il costo del bagno di realtà. Il nuovo governo, che nasca nell’attuale legislatura o da nuove elezioni, non potrà prescindere dall’affrontare subito alcuni temi economici fondamentali: lo stato delle infrastrutture, la qualità della spesa pubblica (valutabile solo attraverso un serio programma di revisione), la necessità di diminuire la pressione fiscale (o perlomeno di ridisegnare la tassazione, alleviando il peso sui redditi da lavoro), la necessità di riprendere le riforme del lavoro, e, perché no?, anche l’opportunità di investire sull’ambiente, senza però cedere alla tentazione di una insostenibile decrescita felice. Del resto, se per la nuova legge di bilancio si cercano spiragli di flessibilità in Europa (e li si cercano, eccome), la direzione è quella degli investimenti e delle riforme. 

<HS9>Solo i politici con le spalle coperte e una carriera politica assicurata, in maggioranza o all’opposizione, possono permettersi di lasciare sprofondare un Paese solo per assicurarsi l’eliminazione dei nemici. O di fare clamorosi passi indietro quando si tratta di fare i conti con la realtà (e gli equilibri di bilancio). Non è di loro che oggi hanno bisogno gli italiani.
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