La festa dei 90 del Premio Viareggio con i vincitori Trevi, Minore, Ricci

La festa dei 90 del Premio Viareggio con i vincitori Trevi, Minore, Ricci
di Andrea Velardi
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Domenica 25 Agosto 2019, 22:00
Il Premio Viareggio ha celebrato ieri al Principino in modo prestigioso i suoi 90 “pieni di salute” nel corso di una serata ricca di premi e personaggi condotta dallo scrittore Paolo Di Paolo davanti a un vasto pubblico assiepato dentro e fuori la sala del Principino alla presenza del sindaco Giorgio Del Ghingaro che definisce l’istituzione “un crinale tra storia e innovazione dal potenziale eccezionale per tutta la città” e dell’ Assessore alla Cultura Sandra Mei.  La presidente della Giuria Simona Costa si è detta convinta che il premio è “un baluardo fondamentale per l’orientamento e la formazione della lettura  e che ogni lunga storia d’amore, hanno anche i loro momenti travagliati” per riprendere un motivo del Premio Speciale "Città di Viareggio" Gino Paoli, che ha dovuto negare la sua presenza all’ultimo momento. La serata è stata inaugurata da un estratto del filmato che ha ripercorso la storia delle premiazioni, curato dalla giurata e direttrice di Rai Teche Maria Pia Ammirati. Paolo Di Paolo ha letto una lettera di Carlo Emilio Gadda, ormai nell’olimpo degli autori del Novecento, a Leonida Rèpaci dove l’autore del Pasticciaccio si diceva “prostrato dalla commozione e dallo choc” della vittoria del premio garantendo, come un cadetto appena decorato, di meritare nel futuro questo riconoscimento.
 
Viene subito chiamato sul palco Walter Veltroni ideatore dei Premi Speciali di quest’anno.  E' il turno del Premio Speciale Viareggio 90 con il video di Riccardo Muti che dirige la Messa da Requiem di Verdi e la motivazione che non può che richiamare il contributo dato alla storia delle esecuzioni pucciniane. Veltroni intervista brevemente il Maestro salutato da una calorosa standing ovation: “la tecnologia è nociva se trasforma dilettanti in divi e crea colossi fondati sulla sabbia… turlupinando il pubblico”, dimenticano un’importante frase di Jago nell’Otello: “io non sono che un critico” e con ironia tremenda ed esilarante cita un apologo dell’ambiente musicale: “se uno sa suonare, fa musica, se uno è ciucco dirige un’orchestra, se uno è ancora più ciucco fa il critico”.  Come ricorda Veltroni però dirigere un’orchestra vuol dire saper organizzare la complessità e questo ha un senso rivoluzionario nella nostra epoca. Muti rivendica orgogliosamente di provenire dalla scuola italiana, dal Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, anche se riconosce amaramente come oggi “l’immagine dell’Italia nel mondo è molto sbiadita” nonostante il nostro passato straordinario.
 
Il Premio del Presidente va alla “nobilltà civile” del giurista Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale. Davanti alla domanda di Veltroni su una possibile tentazione autoritaria nel nostro paese  si dice non “preoccupato perché la democrazia è sempre vissuta di crisi che sono state utili alla democrazia, l’importante è non dimenticare il passaggio per cui il popolo sceglie il parlamento, ma è il parlamento che sceglie il governo”.  La democrazia ha una lentezza funzionale che va rispettata: “se Londra ci mette più di Pechino a costruire un aeroporto è perché si preoccupa di tutelare bisogni e valori della comunità, dobbiamo accettare la lentezza della democrazia perché una democrazia troppo decidente ci porta al modello non democratico della Cina, a Pechino”. Oltre Gino Paoli, anche Eugenio Scalfari, premio giornalistico 2019, è assente e viene ricordato con un video. Alla fine della serata è salito sul palco Marco Bellocchio, Premio Internazionale "Viareggio-Versilia", “memore dell’importanza del riconoscimento grazie alle sue frequentazioni di Moravia, Pasolini e Garboli”.
 
Il Messaggero partecipa con un entusiasmo speciale a questa 90esima edizione festeggiando la vittoria da parte del suo critico letterario Renato Minore, con la raccolta “O caro pensiero”, del Premio di poesia più importante del nostro panorama nazionale. Minore si è imposta sul libro einaudiano di Patrizia Valduga e su Annelisa Alleva,  suggellando una lunga carriera critica e letteraria che lo ha visto finalista al Premio Strega (1987) e al Premio Campiello (1991) con le sue monografie dei poeti del cuore “Leopardi l’infanzia le città gli amori”, riedito nel 2014, e “Rimbaud” riedito nel 2019, entrambi usciti per Bompiani. Oltre al romanzo “Il dominio del cuore”, Minore è autore di svariati libri di poesia tra cui “Non ne so più di prima” (1984), “Le bugie dei poeti” (1993), “Nella notte impenetrabile” (2002). “O caro pensiero”, che reca un’approfondita introduzione di Raffaele Manica, ha messo d’accordo sia la corrente tradizionale che quella più avanguardista della poesia italiana, definito da Maurizio Cucchi “libro gnomico e comunicativo” dotato di “scrittura affabile e discreta”, ed è espressione di una elaborazione nuova, lucida e tersa, insieme lirica e antilirica, del mistero della vita e dell’anima all’interno di quella che abbiamo definito “una fenomenologia del quotidiano e dell’emozione realizzata attraverso una narrazione riflessiva e poetica perseguita con un linguaggio profondo e colloquiale insieme”. Realizzando pienamente e in modo originale la massima del suo amico e grande poeta giapponese Kikuo Takano: “Quanto più a fondo si può fissare, tanto più tutto diventa chiaro e limpido”.
 
Vince la sezione della Narrativa  Emanuele Trevi con “Sogni e favole”, Ponte alle Grazie, vero e proprio romanzo filosofico, non fictional fiction, attraversato da pathos civile straordinario, genere ibrido di antica e colta tradizione, di cui Trevi è divenuto l’originale maestro all’interno del panorama letterario italiano, dopo averne dato prova straordinaria in “Qualcosa di scritto” Ponte alle Grazie,  finalista al Premio Strega 2012 dedicato al suo rapporto con Laura Betti e Pasolini. In “Sogni e favole” l’autore narra la mutazione antropologica successiva al lento crepuscolo del Novecento “quando un poeta, un pittore, un regista erano esseri umani investiti da una vocazione, e la loro vita non era un pettegolezzo, una delle tante variabili mercantili della celebrità, un’attraente carriera mondana, ma una storia vissuta fino ai limiti dell’umano, spremuta fino all’ultima goccia, e dunque una caccia magica, e nello stesso tempo una specie di elaborato rito sacrificale, l’immolarsi e molte volte l’incenerirsi dell’individuo sul rogo della sua visione”. Trevi esplora questo mutamento attraverso la vita del  fotografo Arturo Patten, della inquieta poetessa Amelia Rosselli suicida a Roma nel 1996, di Cesare Garboli, il seducente, sociopatico critico, per molti anni patron del Premio Viareggio, che prima di morire gli affiderà la missione di indagare su Metastasio e sul suo sonetto “Sogni, e favole io fingo”. Ne viene fuori un itinerario sulla letteratura moderna da Puskin a Pessoa in una Roma piovosa e arcaica scenario perfetto per l’elaborazione dell’insensatezza e della condizione di desperado consapevole e ferito che ha solo nella letteratura l’unico approdo di r-esistenza.

Trevi si afferma su Viola Di Grado che in “Fuoco al cielo”, La Nave di Teseo che narra di un luogo realmente esistente raggelato dal clima siberiano, devastato e desertificato dalla catastrofe nucleare, dove una coppia tenta di vivere il proprio amore e Claudia Durastanti che ne “La straniera”, La Nave di Teseo, già successo critico di quest’anno ed exploit della cinquina del Premio Strega di quest’anno, memoir familiare dell’emigrazione di genitori sordo-muti, di una stirpe di romantici bugiardi, romanzieri della vita senza avere letto libri, creatori di mitologie domestiche che l’infanzia accoglie come indiscutibili, lettera di amore ad una madre narrata nel suo essere isolato dal paesaggio sonoro della sua adolescenza negli anni settanta e nell’ ulteriore marginalità della sua classe sociale di appartenenza. Alla ricerca di un’identità che si fonda sulla riscoperta della lingua come madre consapevoli che straniero “è una parola bellissima quando te ne appropri e non quando qualcuno ti costringe a esserlo”.
 
Terna difficilissima quella della Saggistica, secondo noi tutta da riconfermare con un ex aequo,  vinta da Saverio Ricci, autore di un prodigioso, corposo, imperdibile volume su Tommaso Campanella pubblicato da Salerno editrice. Una vittoria che non toglie nulla però a intellettuali sfidanti del calibro di Chiara Frugoni, “Uomini e animali nel Medioevo”, Il Mulino, rivoluzionaria e acutissima interprete dello spirito medievale e Salvatore Silvano Nigro, illustre filologo di fama internazionale, autore de “La funesta docilità”, Sellerio, il libro che avrebbe voluto scrivere Leonardo Sciascia, in cui la saggistica viene pensata come “letteratura sulla letteratura”, come un romanzo giallo, anche se filologicamente dettagliato, che qui ricerca l’inedito legame tra la scrittura e l’arte nei Promessi Sposi.
 
Nella bellezza dei suoi novant’anni il Premio Viareggio conferma la sua grande apertura verso il vasto universo italiano della cultura, memore che il mondo non è qualcosa di più interiore come ricordano alcuni profondissimi versi di Renato Minore: “Pensavamo fosse fuori/ al di là della lastra/. Non è così che va il mondo./ Dobbiamo rompere il vetro/ infilarci dentro”.
 
 
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