Flórez a Pesaro: «Cantare Rossini? Questione di fisico»

Juan Diego Flórez, il principe del belcanto
di Simona Antonucci
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Sabato 17 Agosto 2019, 19:43 - Ultimo aggiornamento: 18 Agosto, 15:44
«Il canto è uno sport. E Rossini è il Triathlon. Se non sei in forma ti puoi rovinare la voce. Devi saper anticipare, correre, stare sempre davanti». Sennò? «Meglio cambiare repertorio».

Juan Diego Flórez, 46 anni, “principe” del belcanto festeggia 27 anni di “matrimonio” con Pesaro. E sarà, infatti, tra i protagonisti del gala che il 21 agosto celebra il quarantesimo anniversario del festival, alle 20,30 alla Vitrifrigo Arena, con alcuni tra i maggiori cantanti rossiniani di oggi, Nicola Alaimo, Paolo Bordogna, Lawrence Brownlee,, Anna Goryachova, Angela Meade, Mirco Palazzi, Michele Pertusi, Sergey Romanovsky e Franco Vassallo.

«Canterò due brani da
Guillaume Tell, sicuramente la Cenerentola, sarà una festa con amici e colleghi in onore di un genio che ha anticipato i tempi, ma anche un riconoscimento a questa manifestazione e al ruolo che ha acquisito nel mondo: se i capolavori di Rossini vengono eseguiti in un certo modo è anche grazie alle ricerche della Fondazione e al lavoro dell’Accademia che forma interpreti di livello».

Flórez arrivò al Festival dal Perù, appena ventenne «con un visto da extracomunitario, valido pochi giorni». Un piccolo ruolo in “Ricciardo e Zoraide” per ritornare subito a casa con una carriera tutta da costruire. Ma il caso mise mano al libretto: si ammalò il grande Bruce Ford e il giovane e carismatico talento sudamericano venne chiamato per sostituirlo. In meno di poche ore si ritrovò protagonista di
Matilde di Shabran. Applausi, recensioni entusiaste e così, invece di essere rimpatriato, Flórez diventa una star, una voce rossiniana leggendaria e un ospite fisso della rassegna marchigiana.

A Pesaro trascorre le vacanze con la sua famiglia.

«E’ il posto dove sono nato artisticamente e dove ritrovo me stesso. Anche Pavarotti aveva una casa qui: questo luogo - diceva - ha un certo non so che».

Che cosa rappresenta per lei il festival?
«L’esecuzione rossiniana filologica. Pesaro è un punto di riferimento in tutto il mondo. Per gli specialisti di belcanto e per i nuovi talenti che riescono a entrare in Accademia».

Lei ha appena tenuto una masterclass. Su che cosa non transige?
«Il legato è essenziale. Così come una voce uniforme. Servono muscoli addominali efficaci per l’appoggio dell’aria. Senza allenamento fisico non si arriva alle colorature e alle prestazioni estreme cui ti sottopone lo spartito. Per cantare bene Rossini ci vuole anche il fisico».

“Bene” secondo lei che cosa vuol dire?
«Rossini è il belcanto più puro dell’epoca pre-romantica. Fu artefice di una vera e propria rivoluzione dopo il periodo “forsennato” dei castrati e dopo il Classicismo. È un compositore che nasce quando muore Mozart e che lascia in eredità un nuovo modo di scrivere l’opera. Verdi e Wagner ne trarranno tesoro. Ecco, sentire tutto questo significa farlo bene».

Lei, ora, fa bene anche tutto un altro repertorio, Verdi, Gounod, Massenet?
«Il belcanto è un capitolo fondamentale della mia carriera.
E Rossini è il termometro delle mie potenzialità. Quando riesci a dominarlo puoi fare tutto. E ora, beh, direi già da qualche anno, desidero incontrare nuovi compositori. C’è voluto un bel po’. Studio impegnativo. Ma ci siamo. L’anno scorso ho affrontato qui a Pesaro
Ricciardo e Zoraide, capolavoro rossiniano quasi “incantabile”, e poi “Werther”. Due mondi. Mi piace pensare che nel mio futuro ci siano nuove prove».

Una nuova prova anche l’aver rispolverato la chitarra per eseguire canzoni sudamericane.

«Ho cominciato così, per gioco. Alla fine dei concerti, ho proposto dei bis inusuali, brani del mio Paese e dell’America Latina, accompagnandomi con la chitarra, lo strumento che mi fatto avvicinare alla musica. Lo facevo a casa per i miei figli e ho deciso di “allargare” la platea e coinvolgere il pubblico. E’ andata talmente bene che mi hanno chiesto di incidere un cd per Sony, Besame mucho. E’ anche un modo per ritrovare le mie origini e per parlare di una Terra incantevole che non va trascurata».

Lei ha fondato un’orchestra in Perù per aiutare giovani talenti. Quai obiettivi?

«E’ una fondazione, Sinfonia por el Perù. A dicembre arriveremo a diecimila bambini che suonando e cantando gettano le fondamenta per una vita diversa. Migliore. Parlo di fatti concreti, come la gravidanza adolescenziale, che tra chi fa parte si Sinfonia por el Perù diminuisce del 75 per cento rispetto agli standard nazionali. Si innesca una spirale positiva, con lo studio, le prime esibizioni, l’autostima cresce: i ragazzi si sentono autorizzati a sognare».

Da ragazzo, ha sognato una vita da artista, cittadino del mondo. Oggi sarebbe possibile?

«Oggi i Paesi si chiudono. La paura viene usata sempre più sovente. E la paura è l’arma più efficace per spegnere i sogni».
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