I 10 bottoni di Eva: «Ventotto anni fa arrivai qui con la nave Vlora, sono il mio passato e il mio futuro»

I 10 bottoni di Eva: «Ventotto anni fa arrivai qui con la nave Vlora, sono il mio passato e il mio futuro»
di Alessandra Spinelli
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Giovedì 8 Agosto 2019, 17:12
Allora i porti erano aperti, allora la migrazione non era un problema di numeri ma di persone, allora la solidarietà vinceva sulla paura. Allora, 28 anni fa, partita da Durazzo, in Albania, l'8 agosto 1991, arrivò a Bari la nave Vlora: le immagini bibliche sono ancora impresse negli occhi e nel cuore di molti italiani. Tra gli altri 20mila connazionali in fuga dalla miseria di un regime dissolto c'era una ragazza di 24 anni, aveva una gonna con i bottoni rossi, bianchi e azzurri, e al braccio del marito sognava un futuro migliore. Un futuro che trovò nel capoluogo pugliese  dove ancora vive, dove lavora saltuariamente come fotografa, interprete e traduttrice e dove soprattutto è moglie e madre di una ragazza di 17 anni, grata alla terra che 28 anni fa l'ha accolta.

Oggi, nell'anniversario dello sbarco della Vlora, Eva racconta la sua storia attraverso la storia di quei dieci bottoni, ancora gelosamente custoditi in una scatola. «Non sono solo un ricordo - dice - sono le uniche cose che mi sono rimaste di quel viaggio, di quei giorni. Sono un simbolo, proprio perché bottoni, come se potessero tenere assieme le mie due vite».

Di quel viaggio Eva ricorda «i colori grigiastri, il calore soffocante e l'odore nauseabondo». «Quella mattina - racconta - avevo deciso di mettere la mia gonna preferita, lunga, di un colore verde bellissimo, abbottonata davanti con dei bottoni colorati uno diverso dall'altro. Amavo la mia gonna con i bottoni colorati. Non sapevo, quando l'ho indossata, che quella gonna mi avrebbe accompagnata nel viaggio più difficile e sporco della mia vita. Ero scappata dall'Albania salendo sulla nave con una corda, ero scappata dalla nave scendendo con la corda, ero scappata dal porto affollato con indosso sempre la stessa gonna, ma di colorato erano rimasti solo i bottoni».
In ospedale le diedero vestiti nuovi, ma non si separò da quella gonna fino a quando, «dopo una notte insonne e una giornata infernale ci si preparava per l'ennesima fuga, questa volta dallo stadio» dove erano stati radunati tutti i profughi. Fu costretta a lasciare tutte le sue cose e allora strappò i bottoni e li mise in tasca prima di buttare via la gonna. Si ripromise di cucirli, un giorno, su un nuovo vestito. Sono ancora in una vecchia scatola.
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