Cerciello, i killer all’incontro pronti a colpire in ogni caso

Cerciello, i killer all incontro pronti a colpire in ogni caso
di Valentina Errante Giuseppe Scarpa
4 Minuti di Lettura
Martedì 6 Agosto 2019, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 13:35

Finnegan Lee Elder e Christian Natale Hjort, i due americani, accusati dell’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, la notte tra il 25 e il 26 luglio si erano presentati all’appuntamento concordato con Sergio Brugiatelli senza lo zaino. Lo avevano nascosto nella fioriera di via Gioacchino Belli prima di andare all’incontro dove speravano di ottenere gli 80 euro spesi nella stessa serata a Trastevere, comprando tachipirina al posto di cocaina. Non pensavano di trovare i carabinieri Andrea Varriale e Mario Cerciello Rega ma spacciatori dai quali ottenere soldi e droga.

Carabiniere ucciso, Cerciello attirato in un luogo diverso da quello stabilito

La polizia Usa sta con l’Arma: «È stato colpito uno di noi»
 





È un altro dettaglio delle indagini che puntano a ricostruire cosa sia accaduto quella notte, prima che i due ragazzi si presentassero in via Pietro Cossa, dove Elder Lee ha affondato per undici volte la lama del suo coltello nei fianchi di Cerciello Rega. In quei 24 minuti di buco, nascondono la borsa che dovrebbero restituire, poi non si sa cosa facciano. I carabinieri, che conducono le indagini, hanno acquisito le immagini registrate quella notte dalla telecamera della vineria, che si trova davanti all’hotel, ma non è chiaro se l’occhio elettronico abbia catturato i movimenti dei due indagati. I ragazzi, a verbale, hanno sostenuto di avere nascosto la borsa per timore di essere “fregati” dai pusher che li avevano già truffati prima. Di fatto, all’incontro si presentano armati, pronti a colpire. 

Oggi intanto è previsto il sopralluogo nella stanza 109 dell’hotel Le Meridieen, dove alloggiavano i due indagati. Il ris dei carabinieri, i pm e i legali, Renato Borzone, Roberto Capra, Fabio Alonzi e Francesco Petrelli, assisteranno alla repertazione di altri oggetti. Domani cominceranno gli esami del dna. I risultati sembrano, però, scontati è difficile che la stanza dell’albergo possa fornire altri elementi utili alla ricostruzione. Intanto gli avvocati di Elder Lee e Natale Hjort, che puntano sulle indagini difensive, attenderanno settembre per l’udienza del Tribunale del Riesame, in attesa di esaminare i tabulati e le immagini delle videocamere agli atti dell’inchiesta che, invece, potrebbero aggiungere altri particolari su quella notte.

LO ZAINO
Nei 24 minuti di buco che i ragazzi trascorrono in via Belli, prima di passare davanti alle telecamere della gioielleria, diretti verso il luogo dove si consumerà l’omicidio, nascondono lo zaino, che hanno portato via due ore prima a Sergio Brugiatelli. Finnegan sostiene di avere deciso di armarsi e accompagnare l’amico dopo l’ultima telefonata con Brugiatelli, che li ha chiamati sul suo cellulare. Al telefono, ignari del fatto che quella chiamata sia stata registrata dai militari, hanno chiesto 80 euro e un grammo di cocaina per restituire lo zaino sottratto qualche ora prima, quando la vendita della droga, che era poi una truffa, è stata interrotta dall’arrivo di quattro militari fuori servizio. I ragazzi portano il coltello ma non l’oggetto del ricatto che nascondono dopo essere usciti dall’hotel. «Avevamo paura che ci fregassero di nuovo», hanno sostenuto a verbale. Ma di fatto erano pronti all’eventualità peggiore: quella di colpire.

IL MEDIATORE
Brugiatelli, intanto, continua a smentire le voci su un suo ruolo ambiguo. «Cerciello e Varriale non li aveva mai visti prima», spiega Andrea Volpini, l’avvocato del “mediatore” con il pusher che è stato denunciato per le notizie sbagliate fornite negli attimi successivi al delitto ai carabinieri. Ed è Volpini a spiegare perché il suo cliente avesse urgenza di recuperare lo zaino, tanto da rivolgersi al 112. «I due americani - spiega ancora il legale - hanno minacciato Brugiatelli, gli hanno detto “sappiamo dove abiti”. E in effetti sapevano dove abitava, perché nel borsello c’erano sia le chiavi di casa che la carta d’identità con l’indirizzo esatto, dunque era preoccupato per l’incolumità dei suoi familiari». Volpini aggiunge che il suo cliente non aveva rapporti precedenti con gli indagati. «Non sapeva che persone fossero - aggiunge - aveva paura di una rivalsa e che potessero entrare nell’appartamento. Ricorda di aver detto che erano persone con accento straniero. Non ricorda di aver detto magrebini».

© RIPRODUZIONE RISERVATA