Morto Noun Chea, ideologo dei Khmer Rossi e braccio destro di Pol Pot

Morto Noun Chea, ideologo dei Khmer Rossi e braccio destro di Pol Pot
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Domenica 4 Agosto 2019, 15:30 - Ultimo aggiornamento: 19:22
Si chiude il sipario su uno degli ultimi boia del XX secolo. È morto a 93 anni Noun Chea, ideologo dei Khmer Rossi: sotto la sua regia il regime comunista di Pol Pot negli anni '70 sterminò un quarto della popolazione cambogiana, nel nome di una folle utopia che voleva trasformare il paese asiatico in un grande campo di lavoro dove solo i contadini avevano diritto di sopravvivere. E se n'è andato in un letto di ospedale della capitale Phnom Penh, senza aver mai pronunciato una parola di scuse. Nonostante una condanna all'ergastolo per genocidio. Nato nel 1926 da una ricca famiglia cinese-khmer nel nord-ovest della Cambogia, Nuon Chea studiò legge a Bangkok e si unì al Partito Comunista della Thailandia nel 1950. Per sposare in seguito la causa dell'insurrezione in Cambogia, che instaurò una dittatura nell'aprile del 1975. A quel punto divenne il 'Fratello numero 2', braccio destro del leader Pol Pot alla guida dei Khmer Rossi, movimento rurale nato come costola delle forze popolari del Vietnam del Nord. Per la Cambogia iniziò un periodo tra i più bui della storia del Novecento.

I Khmer Rossi immaginarono la nascita di una società marxista completamente agricola, ma gli esiti furono disastrosi: in 4 anni morirono circa 1,7 milioni di persone, un quarto della popolazione. Per fame e malattie, a causa dell'estrema povertà dell'economia, ma anche perché piegati dallo sfibrante lavoro nei campi. Quanto a Nuon Chea, concepì una vera e propria macchina di morte con esecuzioni, torture e purghe per i presunti «intellettuali» (spesso bastava che portassero gli occhiali per definirli così) che non avevano diritto a fare parte della nuova Cambogia. Il 'Fratello numero 2' era stato arrestato nel 2007 insieme ad altri leader del regime sopravvissuti. E giudicato colpevole di crimini contro l'umanità, e successivamente per genocidio, dai tribunali dell'Onu. Alla sbarra, il vecchio e malandato leader si era difeso affermando che il regime non era responsabile di alcuna atrocità. E che nelle fosse comuni rinvenute dopo la caduta dei Khmer Rossi, nel '79, c'erano i corpi delle persone uccise dai vietnamiti, un tempo loro alleati.

Quindi, aveva invitato le «nuove generazioni a non fraintendere la storia, perché non eravamo cattivi né criminali». Peccato che in un pluripremiato documentario del 2009 «Enemies of the People», del giornalista cambogiano Thet Sambath (che perse i suoi familiari sotto il regime), Noun Chea aveva mostrato il suo vero volto: seduto a un tavolo nella sua modesta casa di legno, era stato immortalato mentre spiegava con calma al regista che i Khmer Rossi avevano ucciso i traditori se non potevano essere «rieducati» o «corretti». «Se li avessimo lasciati vivere, la linea del partito sarebbe stata deviata. Erano nemici del popolo», era stata la sua giustificazione. Negli ultimi anni della sua vita, tra l'altro, Nuon Chea si era convertito al buddismo: quasi una beffa per un uomo ai vertici di un regime che aveva abolito la religione e trasformato i monasteri buddisti in siti per le torture e le esecuzioni.
 
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