Roma e il mare, la rievocazione di Rutelli: «Che sogno la Ostia-Pozzuoli di Nerone»

Roma e il mare, la rievocazione di Rutelli: «Che sogno la Ostia-Pozzuoli di Nerone»
di Andrea Velardi
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Sabato 27 Luglio 2019, 20:29
Sta guidando sulla cosiddetta “fettuccia” di Terracina, uno dei più lunghi rettilinei italiani prima della costruzione delle autostrade, percorsa moltissime volte quando era piccolo, intorno ai 4 anni, sulla Giulietta Sprint del nonno Mario, provando l’ebbrezza della velocità in un’epoca in cui non esistevano ancora gli autovelox. Imparando da lui a diventare laziale! Francesco Rutelli, oggi presidente dell’Anica, già sindaco di Roma e ministro della Cultura, si dirige verso Latina al Festival di narrazioni e cultura politica, Come il Vento nel Mare, presso l’ Hotel Miramare, dove ha concluso il 25 luglio, la prima giornata di incontri, conversando con Mario Ajello sul tema “Roma e il mare: la storia e il futuro”. 

Gli suggeriamo come Roma sia stata in effetti la prima grande repubblica marinara perché nonostante la lontananza del litorale una ramificata rete fluviale creava un porto composito che andava dall’Emporium di Testaccio fino a Ostia. Anche la vita e la memoria dell’ex sindaco sembrano la risalita viva e impetuosa di questa trama di acqua e di correnti,  tutto è registrato e restituito da una memoria personale che unisce ricordi istituzionali e vissuti interiori, immaginario pubblico condiviso e risonanze autobiografiche in un flusso unico e originale, caldo e intenso, di istantanee ed eventi dando alle cose la cifra di una rarissima passione umana e civile.  

“Cominciamo dal basso: appena arrivato come sindaco erano solo il 53% le acque reflue di Roma che venivano depurate e quando ho concluso il mandato erano salite al 92%” ricorda Rutelli. Oggi tutto sembra difficile. Ma 2000 anni fa i Romani hanno costruito delle reti impressionanti, le prime fognature ed un sistema logistico straordinario, se pensiamo che già nel 320 a.C., nel IV secolo!, Appio Claudio immagina l’Appia Antica come strumento di viabilità cruciale per assoggettare i popoli ribelli contro Roma, a partire dai Sanniti, attraversando le paludi pontine. Nerone incaricò due architetti dal nome simbolico, Severus e Celer, per realizzare parallelamente all’Appia un grande canale navigabile in collegamento diretto interno da Pozzuoli a Ostia, saranno state 100 miglia!, un canale navigabile per superare i problemi della popolazione romana affamata e i rischi della penuria di approvvigionamento conseguenti a due gravi incidenti: l’affondamento di due flotte granarie (il grano arrivava dall’Egitto ed aveva liberato la plebe dalla fame), una per l’incendio delle navi incatenate l’una all’altra”. Altro che Tav!” esclama l’ex sindaco in un misto di melanconia e orgoglio.

Da qui il focus si sposta sulla pianura meridionale, quella dell’Agro Pontino infestata dalla malaria. “Pio VI intraprende la bonifica con un investimento di 1600000 scudi e annuncia di voler sottrarre la terra ai latifondisti concedendola in enfiteusi ai piccoli e medi coltivatori perché le lavorassero e le riscattassero. Proposito fallito, poiché’ tra l’altro diede ben 7000 ettari al nipote principe Luigi Braschi, che di secondo nome faceva Onesti, non proprio nomen omen, dal momento che tradirà lo zio diventando Sindaco di Roma sotto il dominio napoleonico. Questa campagna ha continuato a essere il territorio dei tentativi della riscossa dalla malaria e dall’abbrutimento anche sotto i regni nazionali fino a Mussolini, con l’epopea raccontata da Antonio Pennacchi, l’arrivo dei contadini veneti, la costruzione delle città nuove, tra cui Sabaudia e Latina e gli altri borghi pontini. La Sabaudia disegnata da Piccinato è una delle più importanti opere urbanistiche del Novecento: un’esperienza che è stata sia mitizzata che avversata, ma che rimane molto positiva, essenzialmente legata al duro lavoro della terra, alla lotta contro le malattie, al riscatto e al rispetto di questa da parte di migliaia di contadini. Guardando all’Agro Pontino si può capire meglio il rapporto tra Roma e la parte meridionale del Lazio, quella non storicizzata,  come furono i centri in posizione elevata, come ad esempio Sermoneta e Itri”.


E così il rapporto tra Roma e il mare si condensa in una sequenza di immagini intensissime e contrastanti: “Nessuno ricorda che le scene del  film “Ben Hur” ambientate sul Nilo furono girate al lago di Fogliano presso Sabaudia. Ma guardando dal Tevere in giù possiamo ricordare, come in una carrellata cinematografica, Pasolini ucciso all’Idroscalo. L’esilarante famiglia Passaguai” di Aldo Fabrizi girato in uno stabilimento di Ostia. Via via scendendo, arriviamo al  Villaggio Tognazzi, dove scorreva l’estate di una piccola Montecarlo di Cinecittà.  E poi verso Anzio con “Polvere di stelle” con Alberto Sordi, ma prima ancora “Cleopatra”, con Liz Taylor,  e la spettacolare ricostruzione del porto di Alessandria dell’Antico Egitto. Per tornare a Sabaudia, “Amore mio aiutami” con Sordi che prende a schiaffi la Vitti sulle dune,  “La luna” di Bertolucci, che si innamora del posto prendendovi casa. Il Circeo dove villeggiava Anna Magnani. La Hollywood sul Tevere - attori, registi, produttori- si ritrovava lì, a testimonianza dell’apporto sensazionale di questa striscia di mare alla storia della cultura, all’immaginario nazionale. Poi tanti altri film recenti sono stati realizzati nella campagna interna, come Ozpetek che gira a Latina “Saturno Contro”, ma mi limito al mare per mostrare l’importanza di questa filmografia e di tante ambientazioni, che documentano l’esistenza di un cordone ombelicale dalla foce del Tevere in giù , che per i romani non si è mai interrotto.

Dalla memoria collettiva si passa spontaneamente al vissuto autobiografico:“Mio nonno Mario era un navigatore solitario. Nessuno sa che, verso la fine degli anni ’50, acquistò la Torre di Badino dove tenere il suo Dinghy, una base meravigliosa per andarsene da solo verso le isole pontine e Capri. Lui convinse mio padre a costruire la casa dove ho passato tutta la mia infanzia, a Terracina, sul confine tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli sotto il tempio di Giove, dove c’è il Pisco Montano, quella specie di panettone, di pan di zucchero, e dove c’era il leggendario rifugio del brigante Mastrilli che faceva le sue scorribande a danno dei viandanti che andavano verso Fondi e Gaeta, con la porta dell’Appia Antica dove sono entrate le truppe americane prima della liberazione di Roma. Una casa che abbiamo venduto dopo la morte di mia madre con grande nostra tristezza”.

Non ultimo il ricordo di una lotta civile e politica, all’insegna di un profetico ecologismo, e degna di un romanzo epico. “Nell’estate del 1981 ci battemmo per la chiusura della centrale atomica di Latina, un relitto obsoleto non dissimile da quello di Chernobyl. Io avevo 27 anni, ero un giovane segretario del Partito Radicale,  e riuscii a farmi arrestare perché avevo distribuito un volantino e il codice Rocco prevedeva ancora il reato di l’istigazione dei militari a disobbedire alla legge e alla diserzione. Si immagini che all’epoca il Poligono di Nettuno indirizzava le sue esercitazioni verso i tubi di raffreddamento della centrale nucleare. Con uno stratagemma, per fare clamore, l’avvocato Caiazza, militante radicale, intervenne su un carabiniere - a cui avevo consegnato questo volantino dove incitavo alla diserzione i soldati del Poligono - dicendo che lui stava omettendo l’arresto per un gravissimo reato, ed era passibile di azione penale e dopo una lunga confabulazione gli intimava di arrestarmi. E così io fui tradotto nel carcere di Latina per tre giorni; fui poi pienamente assolto per quell’azione dimostrativa grazie alla difesa dell’avvocato Palmieri. La cosa importante è che pochi anni dopo ci fu l’incidente di Chernobyl e dopo il referendum popolare della città di Latina, la centrale fu smantellata”. Un’avventura di disubbidienza civile non violenta che ha scongiurato probabilmente la rovina irrimediabile di una campagna e di un litorale unici al mondo.

 
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