Autonomia, così il Nord guadagna 1,3 miliardi

Autonomia, così il Nord guadagna 1,3 miliardi
di Luca Cifoni
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Mercoledì 24 Luglio 2019, 00:40 - Ultimo aggiornamento: 25 Luglio, 09:16

Un impatto finanziario più limitato, ma comunque significativo: se come pare ormai assodato l’istruzione non sarà tra le competenze trasferite alle Regioni, il conto finale a vantaggio di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna resterà comunque del tutto vantaggioso. Nell’ipotesi di assegnazione delle risorse in base al valore medio nazionale pro capite le tre Regioni che hanno richiesto il trasferimento delle funzioni avrebbero un surplus di 1,3 miliardi, mentre a perderci sarebbe soprattutto il Lazio, con una perdita teorica di olre 1,6 miliardi.

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Proprio il criterio di attribuzione delle risorse sarà uno dei nodi da sciogliere nelle riunioni dei prossimi giorni; ma l’orientamento è quello di far saltare la clausola di salvaguardia prevista dall’articolo 5 delle intese, che rimanda appunto al valore medio nazionale in caso di mancato accordo tra Stato e Regioni sull’adozione dei fabbisogni standard. Si tratta di criterio quanto mai rozzo, che porrebbe il Paese di fronte ad un dilemma: o sottrarre alle Regioni sopra la media i fondi da assegnare a quelle che invece sono sotto, rispettando in questo modo il principio di invarianza finanziaria della riforma, oppure prelevare risorse aggiuntive dal bilancio dello Stato (con nuove tasse o tagli di spesa) per compensare la differenza. Se alla fine il riferimento alla clausola sarà effettivamente abbandonato, il dossier dell’autonomia si trasformerà in una mini-riforma destinata probabilmente ad essere giudicata inutile da chi a suo tempo l’aveva proposta.

I DETTAGLI
Un’analisi dettagliata delle conseguenze dell’approccio basato sul costo medio (che scatterebbe dopo tre anni di mancato accordo sui fabbisogni standard) è stata fatta da Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi dell’Università di Ferrara in un articolo uscito ieri sul sito lavoce.info. Nel testo vengono prese in considerazione le due ipotesi: regionalizzazione di tutte le funzioni richieste dalle Regioni, oppure stralcio dell’istruzione scolastica e universitaria. Nel primo caso, ci sarebbe in ballo (in base ai numeri della Ragioneria generale dello Stato) un importo complessivo di 16,2 miliardi, che diventerebbero 4,8 sottraendo gli 11,4 di scuola e università, che dunque valgono oltre i due terzi del totale.

In entrambe le situazioni, ciascuna Regione dovrebbe confrontare la propria spesa regionalizzata pro capite con quella media nazionale: lo sbilancio moltiplicato per il numero di abitanti dà l’ordine di grandezza delle risorse in eccesso o in difetto. Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna avrebbero diritto a 2,7 miliardi in più e nel complesso vedrebbero incrementarsi del 17 per cento la spesa. La somma scende a 1,3 miliardi (con un aumento del 21 per cento) se si esclude l’istruzione come suggeriscono gli ultimi sviluppi della trattativa politica.

LA RINUNCIA
La rinuncia al trasferimento dei docenti e del restante personale nei ruoli regionali avrebbe un effetto positivo per alcune Regioni del Sud, che sono al di sopra della media per quanto riguarda l’istruzione ma non per le altre funzioni. Mentre l’esito resterebbe comunque disastroso per il Lazio, il cui scostamento complessivo dipende in larga parte proprio dalle funzioni diverse da scuola e università: un conto da 1,6 miliardi, solo di poco inferiore a quello che si avrebbe con la cessione di tutte le funzioni istruzione compresa.

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