Cachemire dei Sibillini, il successo di cinque donne insieme: «Un lavoro per le terremotate»

Silvia Bonomi e Giulia Alberti Cachemire dei Sibillini, cinque donne insieme: «Un lavoro per le donne terremotate»
di Rosalba Emiliozzi
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Martedì 23 Luglio 2019, 09:50 - Ultimo aggiornamento: 26 Luglio, 11:19

Zanna ha 22 anni - età record - ed è di un dispettoso unico, guai a lasciarla sola in giardino, fa sparire il bucato steso o cerca di indossarlo. «Una volta l’ho trovata con un paio di mutande infilate in testa» racconta la padrona Silvia Bonomi, 33 anni, originaria di Campagnano di Roma, di professione pastore con un sogno: ricolonizzare i monti Sibillini con le antenate di Zanna, le pecore di razza sopravissana, specie autoctona in via di estinzione, con latte quasi privo di lattosio e una lana speciale, morbidissima e resistente che non ha nulla da invidiare al cachemire.

Questo animale antico e curioso, che si trova solo nella zona del cratere sismico, si sta pian piano ripopolando nelle zone terremotate grazie a cinque donne che vivono in quattro regioni diverse dove le scosse hanno colpito duro e il post sisma va al rilento. Cinque donne con piccoli allevamenti - due vivono nelle Marche, una in Umbria, una in Lazio e la quinta in Abruzzo - si sono messe insieme per creare una filiera cortissima e valorizzare la lana sopravissana. Cioè il manto di questa pecora che «va assolutamente tosata altrimenti rischia di morire - spiega  Silvia Bonomi, combattiva allevatrice del cratere - non è maltrattamento ma liberazione per le pecore, il pelo non tosato può provocare un edema toracico quando prende molta pioggia e l’umidità si accumula e appesantisce il pelo che comprimendo sulla cassa toracica può creare un versamento. Ricordiamoci che questo animale non ha la muta». Il pastore, quindi, deve aiutare il gregge a liberarsi di un tale ingombro. E sui Sibillini si sono inventati la festa della tosatura proprio per far comprendere quanto sia importante questo passaggio per il benessere dell’animale. 

Se le pecore così sono felici, l’altro passo è creare lavoro. Come? Lavorando la lana. «Si tratta di un filato speciale - dice Silvia - la lana sopravissana è un extra fine merinos, assomiglia al cachemire al tatto, però è un prodotto diverso come tessitura e utilizzo. Con questa lana si possono produrre maglioni e giacche di lana cotta, oppure  maglioncini caldissimi e sottili che a contatto con la pelle non danno allergie perché questa lana non punge. Questo tipo di filato va bene anche per tessuti tecnici, ad esempio, per calzini tecnici, ci ha già contattato un imprenditore del nord che produce abbigliamento per fare sport di montagna e che ora prende la lana merinos dall'Australia».

E qui entra in campo Giulia Alberti, 34 anni di Montefortino, che con il marito e un bambino piccolo ha scelto di lasciare la città marchigiana di Fermo per  trasferirsi a Rocca, minuscolo borgo di Montefortino, due mesi prima che il sisma buttasse giù mezzo Appennino. «Volevamo dare una vita diversa a nostro figlio, così ci siamo trasferiti sui Sibillini, fortunatamente non abbiamo avuto danni alla casa perché costruita bene su un terreno roccioso». Giulia e il marito Alessandro Vittori, 43 anni, fanno un’attività unica in Italia, filano pelo di cane, inviato dai padroni che per affetto trasformano la muta in un gomitolo che può diventare tutto: un gilet, un cappello, un maglioncino. L’attività ha avuto così tanto successo che «abbiamo una lista d’attesa di 10 mesi» dice la giovane imprenditrice.

Ora Giulia Alberti sta facendo un altro passo avanti. In tandem con Silvia Bonomi, che è una vera enciclopedia della pecora sopravissana, sta per realizzare un lanificio per rendere commerciale la lana soffice e resistente di questa razza rara. «Il laboratorio sarà realizzato in una casetta di legno con macchinari artigianali che vengono dal Canada - dice Giulia Alberti  - pensiamo di aprire a novembre». L’obiettivo è creare il cachemire dei Sibillini, con Silvia che si occupa della selezione della razza e con altre allevatrici del cratere fornisce a Giulia la lana che diventerà un filato color naturale, con bollino di certificazione. «Sarà una produzione di nicchia  - spiega Giulia - che terrà principalmente conto della qualità di vita degli animali, chi ci mette la lana può aprire le porte delle aziende e far vedere come vengono trattati gli animali. Alla fine di questo processo diremo: questo gomitolo viene da questa pecora».

Silvia Bonomi, dal canto suo, da anni si sta occupando della selezione della razza. Gli agnelli che nascono compongono il gregge o vanno a formare altre greggi di sopravissana e le pecore che come Zanna non partoriscono più vengono lasciate vivere con il gregge in tutta la loro vecchiaia. Silvia ha iniziato con 4 pecore, ora ne ha 150. Ha scelto di ripercorrere il mestiere del nonno, di fare la transumanza e l’alpeggio a Sasso, piccola frazione di Ussita, sui monti maceratesi, dove ha riaperto la vecchia casa del nonno. È un pastore di ritorno, dopo il salto di una generazione. I suoi genitori hanno fatto tutt’altro. «Spinti da mio nonno, papà ha studiato ed è entrato, come impiegato alla Marina miliare di Roma, mamma in Atac», dice 

Silvia, dopo gli studi al liceo e l’università di Agraria mai finita, insegue il suo sogno: creare opportunità di lavoro per le donne dei Sibillini, rimaste disoccupate a causa del sisma. È tenace e decisa, non l’ha fiaccata neanche il terremoto, nonostante le grandi difficoltà. Silvia Bonomi vive con il suo compagno in una «scatola di tonno», come lei chiama il container che le hanno assegnato dopo che la sua casa di Sasso è collassata con il sisma di tre anni fa. «D’estate si scoppia di caldo, d’inverno si battono i denti - racconta Silvia - la temperatura quest’anno è scesa a meno 19, mi sono ammalata in continuazione». Eppure resiste. A Vallestretta ha ricostruito la stalla per le sue sopravissane, una struttura calda e luminosa. E quando guarda le greggi, vede il futuro, un domani sostenibile, rispettoso della natura. «Questo nuovo filato può davvero essere una grande opportunità per la montagna e le tante donne che la abitano» ripete Silvia. 
 

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