Riccardo De Palo
Lampi
di Riccardo De Palo

Lucarelli ricorda Camilleri: «Mi spedì un pizzino nel cannolo, io risposi con i tortellini»

Lucarelli assieme a Camilleri
di Riccardo De Palo
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Venerdì 19 Luglio 2019, 14:39 - Ultimo aggiornamento: 22 Luglio, 13:29
«Andrea Camilleri è uno dei più grandi scrittori italiani a cavallo di questi due secoli», dice Carlo Lucarelli, autore di un libro a quattro mani con il papà di Montalbano, “Acqua in bocca” (Minimum Fax) in cui l’iconico commissario di Vigàta si confronta in un’indagine con l’ispettrice Grazia Negro; un’esperienza raccontata nel documentario “A quattro mani” (curato dalla stessa casa editrice romana). 
Abbiamo parlato con lo scrittore emiliano mentre Camilleri era ancora ricoverato («Speriamo che si riprenda - diceva - e che gli diano il Nobel l’anno prossimo»); purtroppo le cose non sono andate così.
«È stato un narratore straordinario - dice - l’ho conosciuto a un festival: c’eravamo noi, autori del giallo italiano, con libri pubblicati già da un po’ di tempo e a un certo punto è arrivato Camilleri che si è presentato: “Buon giorno, sono un nuovo scrittore”. L’ho trovato fantastico. Non so se ricorda: i primi sei posti in classifica erano suoi per tutto l’anno e non ce n’era più per nessuno. Ma come, “nuovo”? Ma sei Camilleri!». «Io ne ho incontrati due o tre di scrittori così che invece di tirarsela arrivano e ti dicono: calma, siamo la stessa cosa, siamo come voi. Il libro scritto con lui è stato un divertimento assoluto».

Di chi è stata l’idea?
«Sua. Avevamo deciso di scrivere qualcosa a quattro mani e lui ha detto: “Aspetta un attimo”. È andato di là nella sua libreria - io mi chiedevo, è mai possibile scrivere con Camilleri? Come faccio? Cosa gli dico ad Andrea, no, calma, cambia l’aggettivo, riscrivi? - lui è tornato con un libro, una cosa che aveva solo lui, era di un inglese dell’inizio del ‘900, un giallo fatto di “materiali”: un investigatore manda il suo assistente sul luogo del delitto, e questo gli fa avere una serie di indizi: un pacchetto di fiammiferi, una firma... Camilleri mi ha detto: “Perché non facciamo anche noi così?» 

E lei, ovviamente, ha accettato.
«Sì, è stato un romanzo epistolare e di materiali. Ho cominciato scrivendogli  una lettera su carta intestata della Questura, di uno dei miei personaggi, Grazia Negro, che gli diceva: caro Salvo Montalbano, mi vuoi aiutare in questa indagine?»

E lui?
«Camilleri mi risponde con un bigliettino con su scritto soltanto una parola: “No”. Allora io lo chiamo e gli dico: “Scusa, ma se non lo volevi fare bastava rifiutare, non avrei perso tempo a scrivere questa paginetta”. E lui mi dice soltanto una parola: “Aspetta!...” Era un grande maestro della suspense».

Poi cosa è successo?
«Dopo un po’ mi arriva un pacchettino con un avvertimento: “Non lo mangiare”. Lo apro e dentro c’era un cannolo siciliano, ormai verde perché era stato in giro ed era un po’ marcito, che aveva al suo interno un pizzino. Lo tiro fuori, era un foglietto a quadretti. Salvo Montalbano diceva a me, ossia a Grazia Negro: “Ma sei matta a scrivermi con la carta intestata della Questura su un affare così delicato, scambiamoci dei messaggi in un altro modo”. Io ho pensato: è geniale. Così gli ho spedito un vassoio di tortellini con dentro un messaggio dell’ispettrice... Ci siamo divertiti in un modo incredibile, ma ci abbiamo messo un sacco di tempo».

Posso immaginarlo.
«Questo era Camilleri, un uomo divertentissimo, oltre che un grande narratore, una voce importante del nostro Paese. Ha scontato per un po’ il fatto di essere un giallista. In italia, quando sei popolare, quando sei ai primi posti in classifica, già ti guardano male, se scrivi gialli è ancora peggio...»

Era uno scrittore, invece, di grande spessore.
«Si è inventato dei mondi, Camilleri. La serie di Montalbano è un mondo. Al di là delle fiction, che sono bellissime, il Montalbano dei libri è un universo in cui finisci risucchiato, come nei libri di Sherlock Holmes, di Maigret. Inoltre, si è inventato una lingua e questo è fantastico».

Sono libri non facili da leggere, come si spiega lei il suo successo?
«La prima volta che ho letto Camilleri ero in treno. Avevo questo libriccino, “La stagione della caccia” (allora pubblicavo per Sellerio anch’io), ho cominciato a leggerlo e non capivo niente. Dopo le prime due righe chiudo il romanzo e mi dico: adesso scrivo alla signora Sellerio, se uno deve essere nato in Sicilia per leggere questi libri, è meglio che li pubblichi in una collana dialettale! Poi, siccome ero in treno e non avevo niente da fare, leggo la quarta di copertina: “Che è successo nel vostro paese? e il prefetto risponde: niente, a parte un uomo che ha ucciso sette persone per amore”. Mi dico: vabbè, non ho niente da fare, proviamo a leggere questa roba assurda...»

E ci ha preso gusto.
«Sono bastate due pagine e già mi sembrava di essere nato a Palermo. Camilleri è furbo, io l’ho studiato. È importante questa tecnica per chi scrive romanzi storici, far “vivere” dei dettagli senza doverli spiegare. Lui scrive: “Non tagliarmi con quegli occhi” e capisci che è qualcosa che ha a che fare con gli occhi. Poi più avanti leggi: “Aprì la porta e gettò una tagliata”. Quando arrivi a “tagliami”, tu ha già capito che vuol dire “guardami”. Alla fine hai fatto un corso di siciliano camillerese e quando ti entra dentro, quel suono nelle orecchie, non ne esce mai più». 

Diventa un ritornello, un tormentone.
«Mi viene in mente un festival che organizzava la polizia a Bologna, il Police film festival. Invitarono Gian Maria Volontè a presentare una rivisitazione di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” - il che, fatto dalla polizia, è fantastico - e disse: “Io avevo bisogno dell’onomatopea borbonica, di questa cosa da ufficio di polizia antica”. E il suo personaggio, infatti, urla “Panunzio!” (uno dei personaggi del film, ndr) e questo non c’è nella sceneggiatura. Allo stesso modo ha fatto Camilleri, con il suo “Montalbano sono”: attraverso un suono ha ricreato un intero mondo».

È questo il segreto del suo successo?
«Ci sono dei libri facili; ma i suoi non lo sono e quando ebbe il successo enorme che ha avuto ci siamo detti: che meraviglia, ma come fa? Evidentemente, al lettore questa cosa arriva. E la stessa cosa succede, curiosamente, anche all’estero: conosco tanti suoi traduttori - che poi sono anche quelli dei miei libri - e tutti usano degli escamotage particolari. Ma dove ha funzionato c’è stata, anche lì, la creazione di un altro mondo e di un’altra lingua. Un po’ come faceva Eduardo». 
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